2008

Libro: "Bill Bowerman, and the Men of Oregon" di Kenny Moore

Non sono mai stato interessato di storia per un motivo molto semplice: sono uno stupido.

La lettura di questa biografia mi ha infatti illuminato su molti eventi riguardanti la corsa e la sua evoluzione nel secolo scorso.

Bill Bowerman è conosciuto per essere il cofondatore della Nike e allenatore per molti anni presso l'Università dell'Oregon.

Io non sapevo, per esempio, che fu lui nei primi anni sessanta a importare negli Stati Uniti lo jogging, dopo una visita ad Arthur Lydiard in Nuova Zelanda. Prima di allora lo sport amatoriale non esisteva, chi faceva sport lo faceva a livello agonistico/professionistico o lo seguiva come spettatore.

Il libro è un lavoro certosino di uno dei suoi allievi, che parte dal bisnonno di Bowerman per poi continuare con l'influenza delle donne di famiglia, la gioventù scapestrata, lo sport, la seconda guerra mondiale, il lavoro come allenatore, le sperimentazioni con le scarpe, la nascita della Nike, il capitolo Prefontaine, brevi parentesi in politica vera e ampie parentesi in politica sportiva (le lotte contro le istituzioni che al tempo governavano l'atletica USA).

Ricordiamoci anche che Bowerman cominciò ad operare quando l'allenamento era ancora in fase 'oggi più di ieri e meno di domani'. Cominciò ad interrogarsi sulle basi fisiologiche e sull'importanza del recupero. A posteriori viene anche ventilata l'ipotesi che avrebbe potuto avere maggiore successo caricando maggioramente i suoi atleti, ma preferì sempre fornire una esperienza qualificante al rischiare il sovraccarico ed i relativi problemi di salute.

In definitiva un libro che non può mancare nella biblioteca di chiunque si interessi di corsa.

Marcia Natalizia - Tezze di Piave TV

Una gara improntata alla rettitudine.

Rettilinei, e angoli retti dominano infatti il percorso. Così come l'asfalto, ad eccezione di un miglio d'argine, anche lui retto, del Piave.

Rischio noia, anche se c'è chi le curve se le porta appresso con eleganza, siano esse reali o di fantasia.

Per il resto la corsa è una disciplina di resistenza, e non capisco perché ci sia gente che ci si lamenti, per qualsiasi motivo.

Riserve Inesplorate

Mi stavo godendo una foresta stile Oregon, con l'odore dell'umidità di una domenica mattina di tardo autunno, quando il suono di uno scampanellìo ha attirato la mia attenzione per un attimo, ma subito mi sono rassicurato al pensiero 'ah, un gregge'. Poi, nel mondo di sensi che circonda le corse nella natura, la vista di un cane esploratore (ma non lo sono tutti?) mi ha fatto pensare 'ah, qualcuno che porta a spasso il cane'.

Il cane, però, era di una particolare categoria, da caccia, la quale di solito non è oggetto di attenzioni medio borghesi quali la passeggiata (fine a sé stessa).

Dopo qualche centinaio di metri altro scampanellìo, due cani questa volta, e due umani in completo mimetico. Armati.

Quella che pensavo una riserva di ripopolamento si è rivelata una riserva di caccia. Affollata. In condizioni di visibilità ridotta.

Incredibile come un ambiente si possa trasformare in pochi secondi da accogliente e fucina di pacifiche riflessioni, a ostile ma culla di una intensa acutezza sensoriale e consapevolezza del presente (roba che c'è gente che paga fior di soldi per raggiungere).

Con passo leggero e rapido cerco di portarmi fuori dalla zona calda e sbuco sulla strada sterrata dove mi trovo faccia a faccia con un cacciatore in carne, ossa e sovrapposto. Faccio la cosa più sensata che si possa fare di fronte ad una persona armata: cerco di non irritarla. Mi scuso con un 'credevo fosse una zona non di caccia'.

Il cacciatore, con mia sorpresa, si sorprende a sua volta e mi chiede perché mi scusi. Io dico che non volevo disturbare e lui si lanci in una filippica sulla libertà di tutti di andarsene a spasso. Che carne in tavola ce n'è comunque, e che la caccia è un passatempo per cui anche se non prendono nulla non è cosa grave.

Si allontana borbottando e io entro finalmente in zona protetta, che non è detto che tutti la pensino come il mio interlocutore. Un po' mi solleva ma poi mi distraggo in fantasticherie sul futuro, e quel bel momento vigile di totale presenza è passato.

Ritornerà, per qualche minuto, in una discesa ripida e insidiosa, dove un passo falso potrebbe portare a un infortunio reale.

Per poi lasciare il posto ad una quieta sgroppata finale.

La Forma è Sostanza

Una fascia plantare permalosa e saggia mi sta insegnando le virtù della pazienza.

E imparando mi sono trovato, dopo oltre cinque anni, immerso fino al collo nell'acqua blu di una piscina.

L'hanno inaugurata da pochi mesi e si trova a 2,5 chilometri da casa. Così, gestendo con attenzione l'attrezzatura necessaria, posso andarci correndo* col mio zainetto, un camelbak a cui ho tolto le interiora da tempo (la pulizia del sistema idraulico incorporato mi richiedeva più energie di quante ero disposto a spenderne).

Come andare in bici, le prime bracciate mi hanno ritrovato tecnicamente dove avevo lasciato, non un delfino, ma comunque scorrevole. Stranamente ho sofferto più di braccia che con la respirazione. Mi sembrava fosse stato il contrario la prima volta.

In ogni caso ho operato come ogni buon prinicpiante, o rientrante, dovrebbe fare (di quì la selezione
tecnica per il tema del messaggio): il massimo consentito senza perdere la "forma", nel mio caso due vasche, un breve recupero e via così per 50 minuti. Le prossime volte gradualmente passerò a qualche tre vasche, o addirittura quattro, consecutive, aumentando gradualmente e progressivamente fino a che arriverò a un'ora. Il tutto senza preoccuparmi di ritmo, distanze o orgoglio competitivo. Imperativo: nuotare bene.

Una volta raggiunta l'ora di autonomia si può cominciare a ragionare di variazioni e cose più sofisticate.

Vale per la corsa e per tutti gli altri sport ripetitivi. Vale anche dopo, quando si fanno le cose sofisticate, la tecnica corretta dovrebbe prevalere anche nei lavori al limite.
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* e ti si apre un mondo, per tutte le volte che hai letto di campioni olimpici che hanno speso l'infanzia da pendolari a doppia cifra in chilometri per andare a scuola e tornare.
Da buon figlio del boom economico l'ho solo letto, io ci andavo in pulmino, a scuola, e se la piscina era un po' più in là forse ci sarei andato in auto (d'altra parte la fascia birichina dispone l'autonomia in questi giorni). Ma forse no, e tornando al succo, ti senti viaggiatore con un fine, non ti stai allenando, divertendo, cazzeggiando, stai andando in un posto.

11ma marcia dell'Immacolata - Solighetto TV

Come si diceva alla fine, ci vuole dell'impegno per sbagliare un percorso nelle colline dietro Pieve di Soligo. Ed infatti non è stato sbagliato, per gli amanti della campagna e di qualche brivido su sentieri tecnici, ma non impossibili.

In una giornata dove il sole l'ha fatta da padrone, un sacco di persone si sono messe al suo servizio, sbuffando e sudando in salita, e catapultandosi a vita persa in discesa. Almeno questa è stata l'impressione che ho avuto dato il mio ritmo uniforme pressoché ovunque, con numerosi sorpassi collezionati andando in su e altrettante sverniciate subite scendendo.

Tra la Valsana e il West

E mentre Kami Semick vinceva la finale della TheNorthFace 50 miles Endurance Challenge, nei pressi di San Francisco, io e Serena ce ne andavamo in giro per la Valsana.

Avendo dei limiti di autonomia abbiamo camminato un'ora per salire all'attacco del sentiero su cui volevamo correre, e quindi siamo di lì scesi.

L'interesse generale in tutto questo è che a volte può capitare che uno non possa/voglia correre per il tutto, o un tratto, ma vorrebbe farlo per una parte. Nulla di male nel camminare prima, dopo, o in mezzo, si aggiunge comunque tempo sulle gambe, che non fa mai male, e ci si diverte nel tratto in cui si corre.

Serena oggi ha esibito un pregevole lavoro di piedi sui sentieri tecnici che caratterizzano la pedemontana trevigiana. Del resto lei è la trailrunner di famiglia.

serena1028a

Marcia di Santa Caterina - Barbisano TV

Quando sei ad un passo dalle colline del Collalto, e incontri alla partenza più di un personaggio eccellente di Spirito Trail, sai già che sei capitato in una di quelle gare genuine, alla scoperta del territorio.

Che vuol dire che ti tirano dietro più o meno tutto quello che le campagne dei dintorni possono offrire, saliscendi, asfalto, sterrato, sentieri, campi, e fango in quantità industriale, che forse non si potrà neanche dire.

Però è stato oltremodo divertente fluttuare su terreni instabili e godersi una mattinata che poteva anche essere molto più bagnata. La pioggia è stata sospesa, da poco prima dell'avvio sino ai momenti immediatamente precedenti all'arrivo, da chiunque ne aveva il potere.

Una manifestazione curata, di quelle che dopo la deviazione tra la sei, la dodici e la diciannove ti mettono il cartello "sei sul percorso x", e prima dei tratti pericolosi trovi "rallentare tratto scivoloso" o "rallentare sentiero stretto", che non è che poi uno rallenti, però ti senti benvoluto.

problemi tattici non comuni, almeno a me

"Se sei in gara con Karl Meltzer devi stare attento, perché lui è uno molto forte negli ultimi 50 chilometri."

da un'intervista a
Scott Jurek

Panoramica Della Salute - Vittorio Veneto TV

La 12km è in realtà una sei più sei. Il traffico umano e il sentiero stretto rendono infatti i primi sei chilometri una camminata che consente viste abbondanti a destra e a manca. Quando si scollina si può iniziare a correre, anche perché inizia pure la discesa. Il passaggio dentro alle grotte del Caglieron è sempre emozionante, l'asfalto della seconda parte un po' meno ma, ehi, è giusto far contenti un po' tutti.

Con una riflessione a parte notavo come, in genere, l'ispirazione che ha sostenuto questo posto sia sempre stata legata a doppio filo alla voglia di correre.

In questo periodo invece mi trovo a voler correre più di quanto riesca a scrivere.

Una corsa spesso spensierata, ovvero quella degli atleti forti (non necessariamente agli stessi ritmi), senza pensieri se non quelli funzionali all'avanzare.

Non è male neanche così. Ci sto facendo delle riflessioni da fermo che spero di riuscire a mettere nero su bianco, o qualsiasi altra coppia di colori contrastati che occupi lo schermo di chi legga in questo momento.

Nel frattempo si sappia che, ieri, ho fatto anche un lavoro di 20 (venti) minuti continui su pista con delle variazioni di velocità. Cose inimmaginabili fino a solo pochi mesi fa.

Il tutto proprio mentre negli ultimi giorni, come mi giro, trovo riferimenti ad una asserita noiosità delle gare di lunga distanza.

Da persone che corrono brevi distanze, e temono i tempi lunghi delle ultramaratone, ad ultramaratoneti, che temono la ripetitività delle gare in circuito, a molti altri, che non correrebbero neanche, se non esistessero gli iPod.

Poi leggo di una strategia di gara di Paula Radcliffe, contare lentamente fino a 100 (fatto per tre volte al suo ritmo gara equivale ad un miglio), che mi rendo conto non sia decisamente il passatempo ideale dell'individuo medio.

Mah.

Se parliamo di gare il problema non dovrebbe porsi minimamente. Con l'obiettivo di dare il meglio di se la mente non può staccarsi dall'obiettivo di avanzare più velocemente possibile, e quindi dev'essere presente al momento, senza possibilità di escursioni nel passato, nel futuro, o nelle miserie della condizione umana.

E' il motivo per cui intervistare un o una atleta d'elite al termine di una gara potrebbe risultare frustrante (questa mi sembra di averla già scritta). O la ragione per cui i siti degi stessi atleti d'elite non siano in genere fonte di filosofeggiamenti sofisticati.

Se parliamo di allenamenti posso in parte capire. Anch'io, senza un obiettivo preciso difficilmente uscirei per un lungo di oltre due ore. Ma più per pigrizia, che non per paura di non saper come passare il tempo.

Quello che mi inquieta, e affascina allo stesso tempo, è che, dopo qualche ora di corsa, in genere quattro per me, capita di intavolare delle conversazioni piuttosto basilari con sé stessi, e non sempre se ne esce vincitori.

Ecco che vedrei questo come motivo di preoccupazione in merito alle gare lunghe, stare da soli con sé stessi, roba che non si fa di frequente al giorno d'oggi.

La noia diciamocelo, non è tutta questa minaccia. E' anche una delle poche sensazioni che hanno come accessorio una percezione di rallentamento del passaggio del tempo, eterno cruccio, soprattutto in età adulta.

In ogni caso mi rendo conto anche che la mia mente è in grado di autoprodurre prorammi di intrattenimento per un periodo ben superiore alle mie capacità fisiche di corsa, e quindi quanto ho appena detto proviene da un piedistallo dal quale farei meglio a scendere.

Mah, di nuovo.

Venerdì, di ritorno da una delle mie salite preferite (da Valmareno a Praderadego, sulla strada asfaltata) mi sono anche fatto un autoritratto, che coglie alcuni aspetti della mia personalità non spumeggiante di questi giorni:
self portrait

Marcia lungo il Codolo (mica tanto), a San Fior di Sotto TV

Sembra per motivi di sicurezza,

il percorso che si snodava amabilmente lungo le rive del pacifico fiume(tto) Codolo dall'anno scorso si sviluppa nella ben più veloce e asfaltata periferia residenziale di San Fior di Sotto. Parecchi Personali, ho sentito, forse perché non vedevano l'ora di finire.

Noi tranquilli, a riflettere sui ritmi di gara per l'anno prossimo.

Nel frattempo Paula Radcliffe ha vinto per la terza volta la maratona di New York, Kara Goucher ha fatto il più veloce esordio di una americana in maratona,
Kami Semick è arrivata seconda nella coppa del mondo della 100km e Susanna Messaggio ha fatto il suo primo allenamento sotto la pioggia.

Ti distrai un attimo e il mondo fa il personale senza di te.

Ecomaratona del Chianti, ma anche del fatto che arte, sport, spiritualità e tagliatelle ai porcini non siano necessariamente mondi separati

La distribuzione dello sforzo in una gara lunga puo' essere una cacofonia di troppo allegro e troppo adagio nei punti sbagliati dello spartito.

Domenica è stata un'armonia che mi ha emozionato.

Il cartello dell'ultimo chilometro che mi vedeva provato ma non vinto, ha anche scorto una lacrima, non trattenuta, perche' aveva le sue ragioni.

Il tempo può essere dei numeri a caso su un display oppure una espressione compiuta di un periodo trascorso a far coincidere talento e risultato.

Poco importa il punto di partenza e di arrivo, è quella sovrapposizione che ne esprime il valore.

Buon Compleanno

Quattro anni fa, oggi, nasceva rualan, al grido di:

"Fatto il primo passo, il più difficile, continuare a muoversi. Non c'è molto altro."

Che rimane la base.

Fa piacere quando si sopravvive alla mera attualità, che di questi giorni sembra occupi tutto l'orizzonte.

una passo alla volta

Itinerario dei Castelli - Orsago TV

Manifestazione rodata che attrae numerosi appassionati, molti del percorso, che attraversa in buona parte una campagna collinare sempre piacevole (specialmente nei percorsi 13km e 24km, un po' meno nella 7km, che non ha mai tempo di svilupparsi come si vorrebbe), e molti altri del ristoro a tre chilometri dall'arrivo.
Mi dicono negli anni scorsi ci fosse della zuppa di fagioli e altre specialità. Oggi una coltre di persone spessa almeno 4 individui impediva persino la visione le cibo, lasciamo stare se uno pensasse di fermarsi a prendere qualcosa.

A parte queste note di colore, e quelle della fanfara dei bersaglieri che segnala la partenza, dal punto di vista personale nulla di eclatante da segnalare. Era una gara che doveva essere tranquilla, in vista dell'impegno della prossima settimana, e così è stato. I soliti controlli in volo che ormai sono entrati stabilmente nel mondo degli automatismi e via a scorrere.

Dove siamo

Da un'intervista del 2005 a Kami Semick da parte di Scott Dunlap.

D: Il tuo tempo alla maratona di Seattle (2:53:11) è stato eccezionale, in particolare per un'ultrarunner. Di solito combini competizioni su strada e fuori? Quali preferisci?
R: Grazie, mi sono sorpresa anch'io. Ma generalmente non combino trail e strada. Seattle è stata la mia seconda gara su strada in circa 10 anni. Ho deciso di correrla d'impulso. I miei genitori vivono a Seattle, ed era un buon modo per bruciare tutta la torta di zucca che ho mangiato per il giorno del ringraziamento, visto che la maratona è la domenica dopo. Decisamente preferisco le distanze più lunghe, mi piacciono i sentieri. In futuro potrei fare una maratona su strada qua e là, giusto per lavorare sulla velocità.

(Qualche anno dopo, e alcuni giorni fa, Kami, oggi quarantaduenne, ha vinto la maratona di Portland siglando il record personale di 2h45'24").

Così, tanto per ricordarci di dove siamo nel mondo. Di certo io sono lontanto da un posto dove si improvvisa una maratona su strada sotto le tre ore per smaltire della torta di zucca.
Non mi piace la zucca.

Delle gare e delle corse, contro il tempo

Ci sono corse a cui si partecipa e altre in cui si gareggia.

Visto l'impegno richiesto per le seconde io non riesco a correrne più di tre o quattro all'anno. Mi richiedono settimane di preparazione fisica con un sottile ronzio in sottofondo che mi ricorda che dovrò faticare sonoramente (e non sempre è il mio forte) ed in genere la settimana prima divento difficile da trattare, o quasi intrattabile, e mi chiudo in una sorta di circolo virtuoso (in vista della gara) ma vizioso (dal punto di vista sociale).

Se gareggiassi ogni settimana sarei probabilmente un eremita evitato come gli untori manzoniani.

Il tutto non è un problema se uno conosce le sue soglie di attivazione ed i percorsi di avvicinamento ad una competizione.

Domenica scorsa, per esempio, ho partecipato alla
Ecomaratona dei Cimbri, che si sviluppa sull'altopiano del Cansiglio, con un avvio ed un ritorno da Fregona, vicino a Vittorio Veneto.

Parentesi* per ricordare a chi sia appassionato di trail running che si tratta di un evento imperdibile per caratteristiche del percorso e qualità dell'organizzaione, gestita da Stefano e Gianni, che di fango ne han scrollato dalle scarpe.

Tornando a noi, io sono facile al perdono ma non dimentico facilmente. E il ricordo della prima edizione, corsa nel 2004, in cui alla fine della salita principale (=km 11) si erano spente le luci e poi mi ero semplicemente trascinato all'arrivo in 6h43', era ben vivo, pur nella foschia dell'appannamento da fatica.

Quest'anno quindi, i Cimbri non erano nel mio calendario delle gare da tirare, ma ritenevo di dovermi un tentativo di cancellare quel sei iniziale.

La strategia disegnata era piuttosto semplice, sulla carta: di fatto una gara di 30km con 12km, la prima salita appunto, di avvicinamento.

Tutto bene per l'avvicinamento, gestito con professionalità, ma giunto allo scollinamento, a 1500m slm, dopo 11 km, le gambe erano pronte alla sfida ma la testa mancava all'appello. L'idea di fare i successivi 30km tirati, pur senza forzare, proprio non c'era e ho impiegato qualche chilometro per entrare nel personaggio.

Fortunatamente c'era discesa per una decina di chilometri, e fortunatamente qualche chilometro in più corso in allenamento quest'anno ha creato quella sorta di inerzia per cui posso avanzare anche se la mente cosciente non è pronta a spingere.

Fatta una rapida ristrutturazione mi sono quindi rimesso in carreggiata per l'obiettivo di giornata e alla mezza avevo un ampio margine. Complice questa scoperta, unitamente ad una insidiosa salita verso il trentesimo, mi sono distratto e trovato a 10 chilometri dall'arrivo con un margine ben più ridotto, e la consapevolezza che avrei dovuto tirare per stare sotto le sei ore.

Un paio di imprecazioni perché in effetti è sempre così, mai che ti trovi così in anticipo da poter passeggiare senza problemi, oppure sei così fuori dall'obiettivo da doverti rassegnare e quindi passeggiare senza problemi. No, sempre sul filo del rasoio. Ma il passato è passato, e passato lo sfogo via con lo sguardo al futuro e, soprattutto, all'insidioso terreno che è la discesa verso Fregona. Uno sterrato roccioso (si potrà dire?) come solo nella pedemontana vittoriese sanno preparare.

Quasi tutte le risorse sono state impiegate per mantenere la massima velocità compatibile con la rischiosità del declivio, le poche libere erano costantemente a calcolare medie al chilometro, tempo mancante e approssimazioni sulla distanza coperta e da coprire.

La vista dell'arco gonfiabile è stato un bel sollievo, ho rallentato un po' per non passare all'ultimo un altro concorrente, e mi sono fermato di fronte ad una sorridente ragazza, con un costume tipico che a questo punto immagino Cimbro, e ho ricevuto la medaglia.

Il cronometro mi ha dato l'altro riconoscimento: 5h50'. Che non vuol dire nulla in assoluto, ma ha un significato relativo importante.
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* ovviamente il cronista sceglie un taglio da dare alla storia e segue il filo di un ragionamento. In questo caso mi interessava riflettere sulla lotta contro il tempo.
In realtà in quelle, quasi, sei ore ci sono state persone, panorami, momenti di meraviglia, di disperazione e di dialogo interiore, che mancano quì, ma non nell'esperienza dell'evento.

Nuova Rivista: XRUN

Ha mosso i primi passi una nuova rivista che parla di corsa e si chiama XRUN.

L'idea è di dar voce a quello che la corsa provoca, pensieri, emozioni, con un formato stile libro, che invita alla collezione e alla rilettura nei momenti in cui si ha bisogno di una spinta o di un pacca sulla spalla.

Molte storie quindi, e niente tecnica o cronache generiche di gare. Non perché non siano importanti ma perché già ne se ne parla diffusamente in altre riviste specializzate.

E' un bimestrale distribuito solo in abbonamento. Il primo numero è stato presentato in occasione del UTMB. Quelli che lo hanno letto mi sembra siano rimasti contenti. Il secondo verrà presentato alla Maratona di Venezia.

Ho messo anche il l
ink quì a fianco per gli approfondimenti.

Avvertenza: vi ho scritto un articolo e conosco molte delle persone coinvolte nella realizzazione della rivista.
Quanto sopra potrebbe quindi essere letto come un annuncio interessato o come una garanzia di bontà del prodotto.
Fate voi, mi fido Happy

Lo scarico, nuove rivelazioni

Continua la nostra esplorazione nel misterioso mondo dello scarico, la fase di avvicinamento alla gara in cui si riduce l'allenamento per arrivare riposati e pimpanti al giorno fatidico.

Leggo sul numero di luglio/agosto di
Marathon & Beyond una interessante riflessione sulla gestione dello stesso ad opera di tale Terrence Mahon, allenatore di Ryan Hall.

Delle tre componenti dell'allenamento, Volume (chilometri percorsi) Intensità (velocità/impegno) e Densità (vicinanza dei vari allenamenti chiave), secondo Mahon, nella fase di scarico ridurne uno è condizione necessaria e sufficiente.

Per cui lui sceglie la densità, mantiene il chilometraggio ed il ritmo delle sedute impegnative ma aumenta i giorni di recupero tra una e l'altra.

Questo a suo avviso evita il rischio di "detraining" e di arrivare alla gara non al meglio ma in fase calata e calante.

Poi conclude con l'avvertenza più importante:
ognuno è una storia a sé. Ci sono quelli che se riducono il carico eccessivamente vanno in tilt, altri invece che cominciano a girare meglio.

Diaretto degli allenamenni sotto mano quindi, e via a studiare cosa ha funzionato e cosa non ha funzionato nel passato.

Per esempio mi sono reso conto che io tendo a ridurre tutti e tre i parametri, troppo, e effettivamente questo mi scombussola mentalmente e fisiologicamente.

Poi, sempre per me, meglio star fermo il venerdì e fare una corsetta leggera il sabato, perché il giorno dopo un riposo ci metto sempre un po' a mettermi in carreggiata.

2a Maratonina Della Speranza - San Fior Treviso

E mentre il grosso della truppa si girava dall'altra parte al suono della sveglia, complice un abbassamento di temperature a doppia cifra, condito di venti abbondanti e spruzzato di pioggia, pochi indomiti hanno onorato questa manifestazione, organizzata nelle colline tra San Fior e Colle Umberto.

Il percorso, in massima parte asfaltato, non ha risentito delle condizioni atmosferiche, e così noi che abbiamo sfoderato una prestazione in progressione.

La famiglia è pure salita sul podio, con una vittoria nella 6 km di
Serena, piu' sorpresa che orgogliosa. Era alla sua prima uscita in una gara piovosa.

Ma leggiamo le impressioni dalla tastiera della protagonista:
"Back in Italy. Six-thirty Sunday morning was cold, grey, blustery and raining here in Mareno. Rats. Normally on days like these I choose to stay in bed instead of going out to run in one of our weekly local races. But I was hoping a 6K (4 mile) run might help me shake this jet lag. So off we went and holding my head down to keep my hat from blowing away, I ran out into the rain as Luciano took off on his 12K. The course took us through the usual narrow cobblestone streets, past your standard villa, along the rain swollen river and through a soggy forest. As usual, I was running alone, except for a man who was wearing short shorts, heavy cologne and carrying an umbrella. I kept passing him to get away from the cologne, but he caught up at the downhills (he had pretty long legs) and I felt like I was stuck in his perfume turbulence way too long.

Head down, I doggedly trotted along through the grey morning.

As I neared the end I had lost track of cologne guy and was running alone again, but noticed that it was strangely deserted at the finish line. Thinking all the finishers had hustled on home to get out of the cold, thoughts went through my mind to just stop at the car and call it a day. But I felt pretty good, so I kept on going. Suddenly a woman's voice came over the loudspeaker, "Attention! We have the first woman finisher of the 6K arriving now!" I was shocked as heads turned my way and almost stopped to see who they were talking about. I was alone. I crossed the line, winning my first race, ever. A little 6K race.

Abruptly I was surrounded by race officials asking for my name and registration.
"You are kidding me, right?" I said.
"No, you won. Congratulations!"

I think it is because all my competition slept in that morning, not the least of which the three other women in our running group who are super fast. But as Luciano said,
I got out of bed and that made all the difference."

san fior 6k
(foto cortesia di Erik)

Billy Mills, Tokio 1964

L'avevo pubblicato a suo tempo all'interno di una compilation, ma merita la visione privata. Ne approfitto per dire che ho visto il film "Running Brave", tratto dalla storia di Billy Mills, e purtroppo devo dire che non è proprio entusiasmante, anzi. Si può perdere.

Il filmato che segue no, invece. Commento audio, come si diceva, da pelle d'oca.

Il profumo del mosto addomesticato

Una volta quì era tutta campagna, e adesso ce n'è ancora tanta. L'odore dell'uva è riuscito a penetrare con decisione tra i residui che una sosta prolungata in aereo lascia nelle cavità nasali.

Dopo le circa 21 ore, da porta a porta, e lo spacchettamento dei bagagli, si è infatti colta l'occasione per una sgambata attorno casa.

Ricollegandoci ai temi della
battaglia dei sensi citata qualche giorno fa, oltre agli odori diversi e conosciuti, non ho notato variazioni nella temperatura quanto nella consistenza dell'aria, decisamente più difficile da fendere a Mareno di Piave, Italia, che non a Berkeley, California.

L'erba e l'asfalto sono piu' morbidi, le zanzare e i cani più aggressivi.

Così, giusto per una riflessione su quanto siamo fortunati come podisti, a poter uscire e prenderci qualche ora d'aria, anche se non si muove e si può quasi toccare.

Addio ai monti

E oggi per l'ultima corsa prima del ritorno in Italia si è scelto il familiare Tilden Park.

Familiare neanche tanto visto che non più tardi di sabato vi ho scoperto un sentiero nuovo. Uno di quelli che chiamo sentieri da bob. Un paio di chilometri in leggera discesa, con i tornanti dalle curve sopraelevate. Ma si può? Lo farei ogni cinque minuti.

Ho scelto gran parte dei miei passaggi preferiti, il giro della fattoria su sterrato tranquillo, la salita del Laurel canyon, spezzacuore e volontà un paio di mesi fa, ma adesso quasi amica, Nimitz Way con le foglie cadute dagli eucaliptus a formare un tappeto accogliente, si ha l'impressione di correre in una caramella balsamica. Poi il peak trail con la salita gaussiana, che fa sempre impressione dirlo, anche se non c'entra, e il sentiero da bob, volato con un sorriso stampato, che neanche il Celentano dei tempi d'oro. Il finire sullo sterrato di rientro dal Wild Cat Creek canyon, pianuroso al punto giusto per l'ultima progressione.

Tre quarti d'ora, il minimo per un saluto come si deve. Mi mancherà.

Redwood Park 30k - Oakland

Un agosto senza lunghi, lunghi, mi aveva messo un po' di preoccupazione per l'ecomaratona dei Cimbri, prevista tra due settimane.

Del resto con la politica del "non si corre su un dolore localizzato", se qualcosa fa male, il chilometraggio a breve termine ne risente. Non così quello a lungo, ma è un altro discorso.

Con la creatività che contraddistingue il podista non professionista, ho piazzato un collinare di 2h45' il giorno prima di questa 30 chilometri, e poi mi sono seduto in una poltroncina di prima fila per assistere allo spettacolo delle mie reazioni.

Tutto quello che serviva è venuto fuori, nessun risentimento prima, durante e dopo la gara, stanchezza ragionevole superata, con piacevole sopresa, grazie ad una mente motivata e non remissiva. Lieve errore di valutazione sull'acqua, terminata una decina di minuti prima del dovuto.

Per il resto, giornatona, il percorso si snoda tra sequoie, altissime e ombreggianti, e sterrati polverosi e simil desertici. Il tutto scorrevole e senza tratti tecnici con difficoltà particolari.

La stanchezza mi ha penalizzato soprattutto sulle salite ripide, ma le discese sono state una poesia.

Vista la natura del terreno, collinare e con pochi tratti rettilinei, gli avversari non erano visibili che all'ultimo. Ben prima però si cominciava percepire un odore di terra, poi si iniziava a vedere la polvere che si stava adagiando, e così via in un crescendo di stimoli sensoriali fino a che arrivava la visione fisica di chi mi precedeva e quindi il sorpasso. E via di nuovo ad annusare l'aria. Una battaglia dei sensi.

In salita/pianura invece tutta una famiglia, con tempi di sorpasso che consentivano uno scambio dei dati anagrafici essenziali e qualche battuta sul curriculum gare, sulla bellezza dei dintorni, o sulla temperatura insolitamente alta per la zona.

Provarle tutte, tranne mollare.

"By 30k I pretty much knew, by the sight of the helicopter in the distance following the leaders that I was slowing down more than the leaders. There would be no medals for me this time around. I set my mind on the only thing I could still accomplish in the race: giving 100% of all that I had on the day. I may not have my "A" game but I was determined to give all of whatever game I brought on the day."

Dal commento di Ryan Hall alla sua prestazione nella maratona Olimpica di Pechino.

Libro: "My Life On The Run: The Wit, Wisdom, and Insights of a Road Racing Icon" di Bart Yasso

Bart Yasso è stato reso famoso in Italia da Orlando Pizzolato, che ha introdotto l'omonimo test per predire il tempo in maratona.

A quanto pare, studiando il diarietto degli allenamenti, Bart ad un certo punto si è reso conto che c'era una correlazione tra i tempi di alcuni lavori di ripetute che faceva prima di una maratona e la prestazione sulla stessa.

Col tempo lo ha affinato arrivando a definirlo come una decina di 800 con recupero correndo piano per lo stesso tempo della prova. Il tempo in minuti/secondi degli 800 autorizza a pensare che si può completare la maratona nello stesso tempo riportato in ore/minuti. Esempio: se riesco a correre dieci 800 in 3'10" con recupero di corsetta 3'10" significa che posso correre la maratona in 3h10'.

L'idea è che non tutti hanno la possibilità di misurare parametri complessi e questo sarebbe un sistema semplice per avere un'idea approssimata delle potenzialità. Ovviamente tra le avvertenze c'è il fatto che si devono avere in saccoccia i lavori chiave per una maratona. Non è che ci si metta a fare gli 800 e basta.

Se funzioni non lo so (ed è fondata l'obiezione sul fatto che i parametri metabolici per completare un lavoro di 800 e una maratona siano diversi),
podisti.net è sicuro di no e lo ha addirittura elevato ad icona, coniando il termine "yassata" che viene utilizzato in una rubrica apposita per ironizzare su errori e miti della corsa.

Ma Yasso, ho scoperto, è molto di più. Una gioventù difficile tra droghe e alcol, riscattata dalla corsa e da un lavoro a
Runner's World che lo ha portato ad essere ambasciatore del nostro sport in tutto il mondo, partecipando a gare in tutti i continenti, a partire dalla fine degli anni settanta ad oggi.

Il libro è nato dalla progressiva crescita di una presentazione fotografica di alcune avventure di Bart in giro per il globo, incluso una delle prime Badwater, una corsa coi muli, una sfida non voluta con i rinoceronti e così via. Ho anche assistito alla presentazione originale, che ho molto apprezzato grazie alla consumata abilità dell'autore.

Alla fine un bel messaggio di curiosità verso le cose del mondo, e di accettazione serena della fragile umana condizione.

Questa me la scrivo come promemoria per tutte le volte che mi irrito non trovando parcheggio vicino al negozio, o palestra (!), cui sono diretto.

Jasper sabato è arrivato in bicicletta da casa, la quale dista circa 170km dalla partenza della gara. Ha aiutato a segnare il percorso e poi ha dormito il sonno del giusto.

La domenica mattina ha corso la 50km, vincendo, in 4h16', ha fatto due chiacchiere all'arrivo, si è cambiato, ed è ripartito alla volta di casa. Sempre in bici.

Geometria della corsa

C'è una linea immaginaria che è la retta via della corsa.

E' quella che va dalla caviglia del piede d'appoggio alle spalle. Durante la corsa è leggermente inclinata in avanti, e le anche si trovano sempre (salvo eccezioni autorizzate, quali la
corsa su discesa media e ripida) sulla linea o davanti a questa.

Ogni volta che le anche (perché più o meno è dove si trova il centro di gravità del corpo) sono dietro l'appoggio del piede ci sarà una frenata, deleteria per la velocità di crociera, i consumi, e le articolazioni della parte inferiore del corpo.

Non lasciatevi traviare dalle foto, spesso riprendono atleti d'elite appena prima dell'appoggio, che sembra avvenga di tallone nettamente avanti al corpo. In realtà il piede, magari è avanti, ma sta scendendo rapidamente in senso contrario alla direzione di corsa proprio per allinearsi alla linea immaginaria caviglia-spalle e per ridurre l'impatto.

L'appoggio, in conseguenza di ciò, non avviene con il tallone ma di avampiede/tutta pianta. Una dimostrazione pratica della validità di questo approccio è provare a correre per qualche passo scalzi. Impossibile appoggiare di tallone, l'ampiezza del passo si riduce e l'appoggio è sotto alle anche.

Poi, come si suol dire, se correte felici da anni appoggiando avanti con il tallone, senza ombra di infortuni o indolenzimenti, beh, continuate così.

Delle cose che penseresti siano scontate

trash

Spiritotrail, vivace comunità di trail runners, lancia una campagna di sensibilizzazione sul rispetto dell'ambiente.

Dalla
comunicazione ufficiale: "Io non getto i miei rifiuti è una campagna promossa da Spirito Trail e rivolta a tutti i veri trailers, atleti e organizzatori, per tutelare l'ambiente e la natura. Troppo spesso durante le gare si vedono sul tracciato rifiuti lasciati dai partecipanti. Una maggiore sensibilizzazione servirà a far capire a tutti che le corse trail non possono prescindere da questa semplice regola: non si gettano rifiuti per terra!"

A parte la tristezza infinita che assale quando si è costretti a far notare a delle persone adulte che ' no, la confezione del gel non si abbandona sul sentiero' direi che l'iniziativa merita diffusione.

Perché?

Un signor articolo (in Inglese) di Donald Buraglio sul "perché lo fai?" riferito al ultrarunning. Sostituire quest'ultima parola con qualsiasi altra strana attività che non viene capita e funziona lo stesso.

Libro: "50/50" di Dean Karnazes e Matt Fitzgerald

Sottotitolo: "Secrets I learned running 50 marathons in 50 days- and how you too can achieve super endurance!"

Pochi giorni fa avevamo parlato del
film relativo all'impresa di Dean karnazes che, lo ricordiamo, nell'autunno del 2006 ha corso 50 maratone, nei 50 stati degli Stati Uniti, in 50 giorni consecutivi, e in questi giorni è uscito anche il libro che completa il quadro e dà una visione più dettagliata, che i tempi cinematografici non consentono.

A livello pratico pare che Dean abbia chiamato ogni giorno
Matt Fitzgerald raccontandogli tutto quello che gli veniva in mente. Questi ha buttato giù una bozza che poi Dean ha rivisto per dargli la sua "voce".

Risultato: il libro è scritto decisamente meglio del primo di Dean Karnazes, fornisce un quadro completo dell'impresa e per ogni giorno cerca di trarre e fornire una lezione utile a chi voglia cimentarsi nella corsa.

In effetti credo sarà un librò più appetibile per i principianti in cerca di consigli ed ispirazione che non per i veterani. Ciò non toglie che, in particolare negli aspetti mentali, un ripasso e nuovi stimoli sono sempre utili a tutti. Ricordiamoci che Matt Fitzgerald è anche autore di quel "
Brain Training for Runners" che mi appresto a rileggere con entusiamo.

Per completezza è giusto ricordare anche che qualche polemica è sorta ad opera dei "veterani" sulla figura di Dean, uno scambio di opinioni recente (in Inglese) che ho letto volentieri e presenta varie tesi interessanti, senza scadere nella inutilmente animata e sterile discussione da bar, si trova su
uno dei forum di Runner's world.

Fred è un ultrarunner

Fred doveva andare a pranzo, a 17km da casa.

Il treno aveva orari strani, tipo che Fred avrebbe dovuto aspettare un'ora in stazione, e quindi, "ho pensato che potevo andarci a piedi".

E così ha fatto.

Libro: "Brain Training for Runners" di Matt Fitzgerald

Arrivo a dire che è un libro per cui varrebbe la pena di imparare l'Inglese, se uno non lo conosce già, e se non lo traducono in Italiano.

Matt Fitzgerald, che già mi aveva colpito per alcuni articoli sulla corsa letti nella rivista
Triathlete, sforna questo lavoro che riprende molti concetti che ci sono cari, quali gli stretti rapporti e reciproche influenze tra mente e corpo.

Fitzgerald va oltre cercando di spiegare che la mente, non quella cosciente, controlla il corpo per mantenere un equilibrio, e quindi invia segnali di stanchezza ben prima che si esauriscano i substrati energetici. Oltretutto la mente può essere allenata a sfruttare meglio la muscolatura e quindi "risparmiare". Questo mette in dubbio qualcuno dei precetti fondamentali che finora ci hanno guidato, quali la centralità delle soglie nella determinazione dei ritmi di allenamento.

Ma anche non volendo bere alla fontana dei substrati energetici, i capitoli sulla tecnica di corsa, sull'accettazione della fatica e sulla programmazione dell'allenamento valgono i soldi dell'acquisto del libro.

Sembra un tomo corposo, in realtà la seconda metà è occupata da tabelle, che non ho mai amato, ma vengono presentate nella forma corretta, una base di lavoro che va adeguata alle condizioni esterne ed interne all'atleta, ogni giorno.

E' uno di quei testi che poi si tengono nello scaffale più accessibile per rileggerli periodicamente.

Libro: "God On The Starting Line" di Marc Bloom

Sottotitolo: "The triumph of a catholic school running team and its jewish coach".

Marc Bloom, attivo nell'ambito del giornalismo che riguarda l'atletica leggera, qualche hanno fa ha accettato l'incarico di allenatore di una squadra di campestre di una scuola cattolica privata.

Pensava non lo prendessero, in quanto ebreo, in realtà pare fosse solo un problema suo.

Ha poi raccolto in questo libro le sue esperienze di allenatore alle prime armi che cerca di entrare nel misterioso mondo che sono le menti degli adolescenti.

La squadra parte con i classici atleti scapestrati, che dell'allenamento e della
'coscienza superiore ottenibile attraverso il sacrificio' non sanno proprio che farsene (a lato viene spontaneo chiedersi come Bloom potesse pensare che dei quindici/sedicenni medi fossero automaticamente portatori di valori, come la purificazione attraverso la sofferenza, per il semplice fatto di frequentare una scuola cattolica).

E di cose normali che accadono e sorprendono il buon Bloom ne è pieno il libro. Ma nonostante la seriosità e perenne ingenuità di Marc, i ragazzi reagiscono al suo impegno, onestà intellettuale e cuore oltre l'ostacolo, tanto che, dopo i necessari conflitti e problemi, diventano una squadra, e mi fermo per non dar via il finale.

Da queste parti si è accennato a qualche libro riguardante il mondo delle campestri delle superiori/università negli Stati Uniti, dagli
Harriers, scritto dagli atleti, ai Buffaloes, scritto da un esterno, a Pain, romanzo scritto da un ex atleta. "God on the starting line" è scritto dall'allenatore e completa un po' il quadro dei diversi punti di vista.

Quello scritto dagli atleti è stato il più coinvolgente ed interessante, per me. Pain, bello, ma cinico e disilluso. Buffaloes troppo tecnicistico.

Questo di Marc Bloom ha i suoi lati interessanti, vi si apprezza l'evoluzione degli atleti come singoli e come squadra. I riferimenti alla religione sono ottimi spunti, indipendentemente dalle credenze, o meno, che si abbiano. La ricerca di un nutrimento spirituale, consciamente o inconsciamente fa parte della natura umana. Bloom è molto coinvolto nel suo essere ebreo, e cerca di non turbare le coscienze 'cattoliche' dei suoi allievi, che a mio avviso sono nella scuola cattolica privata semplicemente perché ce li hanno messi i genitori, e fa dei paralleli tra corsa, filosofia e religione che danno dà pensare. E ciò è sempre buona cosa per un libro.

Dal punto di vista umano rende bene le ansie dell'allenatore con una squadra misurata che non può permettersi infortuni o passi falsi. Si resta un po' spiazzati quando tutta la vita di Bloom sembra dipendere dal fatto che una gara vada come previsto o meno, nel campionato parrocchiale B dello stato, quando il padre è all'ospedale a causa di un infarto. Ma chi siamo per giudicare le reazioni di una persona, e chiunque s'impegni, foss'anche per fare il giro dell'isolato, è degno del massimo rispetto.

Infatti il grande messaggio, alla fine, non sono i risultati tecnici ma la crescita interiore di allenati e, soprattutto, allenatore, che impara a mettere gli eventi in prospettiva e comprende meglio sé stesso grazie a questa esperienza.

Onestamente, però, non lo consiglierei, anche se è un libro che alla fine sono contento di aver letto.

Corsa in discesa del terzo tipo

La discesa, croce o delizia dei podisti di ogni dimensione e velocità, in genere viene affrontata impersonando due "tipi" caratteristici:
- il kamikaze, dotato di natura di superbo equilibrio e rapidità, balza tra una roccia e l'altra, attraversa praterie declinate a velocità superumana, sfida crepacci danzando;
- il frenatore, privo di attitudine al rischio, si irrigidisce alla sola vista di una pendenza negativa e riduce la velocità il più possibile rallentando ad ogni passo.

Il primo è facilmente riconoscibile dopo una gara, porta in volto il sorriso del dominatore di classifiche oppure fasciature/gessi sparsi per il corpo. Il secondo ha il suo marchio di fabbrica nella camminata sofferta, dovuta al quadricipite fritto, spesso lo si vede scedere le scale all'indietro, un attacco frontale sarebbe impensabile.

Eppure c'è una terza via.

Per chi non sia dotato da madre natura di equilibrio sopraffino e giro di gambe olimpico è possibile scendere da un monte o una collina senza distruggersi, mantenendo dignità e possibilità di battere i cancelli orari e i limiti di tempo previsti dagli organizzatori delle gare.

Come?

Vediamo prima la tecnica e poi le esercitazioni per svilupparla.

Immaginiamo una discesa abbastanza ripida, magari con qualche roccia, oppure semplicemente in asfalto. Semplificando, quel dolore che si prova nei giorni successivi è dovuto al lavoro eccentrico dei quadricipiti. Ogni volta che si frena il muscolo si contrae e nello stesso tempo si allunga. Le fibre si danneggiano e poi per qualche giorno ci sono quei problemi noti.

Il trucco per evitare tutto ciò è di lavorare sull'assetto, sull'appoggio e sulla frequenza.

Ci si sposterà leggermente indietro, inclinandoci come per sedersi, abbassando il centro di gravità e si cercherà di mantenere gli appoggi a terra molto rapidi. Senza mai consentire a tutto il peso del corpo di gravare sulla gamba d'appoggio.

Non serve raggiungere frequenze elevate. Si tratta di lasciarsi andare un po', rallentare in qualche passo se la discesa è proprio ripida, e poi di nuovo rilassarsi.

In questo modo si evitano i contraccolpi su muscoli, articolazioni e tendini, si riduce il rischio di distorsioni, perché anche se appoggiamo male poi non lasciamo che il peso del corpo gravi sulla caviglia maldisposta ma siamo già al prossimo passo, e la velocità di discesa è comunque dignitosa. Niente a che vedere con quella dei Kamikaze, ma comunque nettamente superiore a quella dei frenatori.

E' uno dei pochi casi in cui è salutare tenere le anche dietro la linea ideale che va dalla caviglia del piede d'appoggio alle spalle.

Nel caso ci si trovi in un sentiero lo sguardo è molto importante perché dovrà essere molto lesto scansionando il terreno un paio di metri avanti per analizzarne le caratteristiche, ma allargandosi frequentemente avanti (per cambi di pendenza, direzione e grossi ostacoli) e in alto (rami sporgenti). Il tutto in una verifica continua che non include il panorama, per il quale bisogna eventualmente fermarsi.

Proprio mentre pensavo questo, ieri, ho controllato in lontananza un manipolo di mucche che pascolavano tranquille, giusto per verificare dove sarei potuto passare senza disturbarle, e ho dato un calcio all'unica roccia sporgente nel raggio di decine di metri.

Oggi cammino con cautela. Un significativo promemoria.

Come esercitarsi.

Come sempre si va dal semplice al complesso, dal facile al difficile.

Dopo opportuno riscaldamento, ma prima di essere stanchi, facciamo dei tratti tranquilli su un tratto dalla superficie regolare in lieve pendenza. Lo scopo principale e di far girare le gambe e di provare a tenere l'appoggio il più leggero possibile. Non appena si realizzi che si sta perdendo il controllo, o che ci si irrigidisce, si diminuisce la velocità con una frenata fatta nello stesso spirito, graduale e in modo da non sentire contraccolpi.

Via via che si acquisisce scioltezza nel lavoro si può incrementare, sempre gradulamente e un parametro alla volta, la pendenza, la lunghezza del tratto corso e poi scegliere terreni via via più irregolari. La velocità è l'ultima cosa che ci interessa incrementare anzi, specialmente fino a che non si ha il completo controllo della situazione nello scendere rilassati, rallentando senza frenare, potrebbe addirittura essere cotroproducente cercare di aumentare la velocità.

A lato, avendo a disposizione una spiaggia, o meglio una buca del salto in lungo, si può cercare di correrci senza lasciare impronte profonde. Il meccanismo è simile, togliere l'appoggio prima di caricare tutto il peso e frequenza dei passi più elevata del solito. Nel caso della buca del salto in lungo, la si spiana per evitare buche e per poter controllare dopo, e si fa un tratto di trenta quaranta metri che include la sabbia. Poi si torna camminando verificando il tipo di impronte, che dovrebbero essere il più omogenee possibile. Per fare la stessa cosa sull'acqua ci vuole moltissima pratica Happy

La corsa in discesa richiede più tecnica che allenamento, ma poi resta, un po' come andare in bicicletta. La salita è il contrario.

La discesa rimane comunque pericolosa per cui la concentrazione è d'obbligo, anche per gli esperti, e specie nei tratti facili, e non sempre si riesce comunque ad evitare con successo tutti gli ostacoli.

E pazienza, pazienza, pazienza. Ci sto lavorando da quattro anni e solo negli ultimi mesi sento di avere una certa padronanza. Infatti, come dicevo, ieri sono inciampato.

Film: "Ultramarathon Man: 50 Marathons, 50 States, 50 Days"


umman

Nel giugno del 2004 il negozio The North Face di San Francisco organizzò una serata con la presenza di Dean Karnazes.

Allora era conosciuto principalmente nell'ambiente dell'ultramaratona dove aveva fatto notare la sua presenza per uscite lunghe, anche più lunghe delle "normali" 100miglia.

Era gratis, bastava presentarsi, ti davano anche un buono sconto del 10%. Ci presentammo in una trentina, inclusi il titolare del negozio e qualche commesso.

Dean ci parlò della sua storia e ci mostro un breve documentario. Seguì un piccolo rinfresco a base di stuzzichini giapponesi.
Io stavo inseguendo su Amazon.com il suo libro (affascinato dal titolo "confessions of an all night runner", poi più prosaicamente modificato in "Ultramarathon man") che era dato per pronto ad uscire.

Approfittai di uno dei molti momenti di calma e gli chiesi quanto mancava. Mi disse che l'aveva appena iniziato e quindi non prevedeva che sarebbe uscito a breve. Mi misi il cuore in pace, e mi sembra che arrivò nelle librerie nella primavera successiva. Da lì alle liste dei Best seller, e nel giro di un paio d'anni ecco che Karnazes diventa un personaggio super conosciuto. Nel 2006 corre 50 maratone in 50 Stati in 50 giorni e diventa veramente di domino pubblico.

Dell'evento viene fatto un film, che il 31 luglio è uscito in vari cinema sparsi per gli Stati Uniti.

Vista la vicinanza sono andato alla proiezione di San Francisco, che essendo anche la città in cui Karnazes vive, più o meno, lo ha visto presente per un breve discorso prima del film.

Rispetto al 2004 qualcosa è cambiato, ci siamo trovati in un cinema gremito, nonostante fosse a pagamento, e i biglietti erano esauriti già da una settimana.

Il pubblico quindi è cambiato, mentre Karnazes è rimasto la persona che era nel 2004, uno che ha messo nel carnet fino a 500km in una sola seduta, ma che se vai lì e gli dici che oggi hai corso due chilometri ti guarda con ammirazione genuina, e si congratula con l'espressione meravigliata di chi pensi che un chilometro sia già una distanza considerevole.

Attualmente il suo scopo è di cercare di ispirare, soprattutto i giovani, all'attività fisica. E direi che ci sta riuscendo, il pubblico era eterogeneo e formato anche da gente che si era alzata da poco dal divano, semplicemente perché appassionati da questo personaggio, e non più solo da quattro gatti segnati dalle rughe polverose di tanti chilometri corsi in solitudine.

Il film in sé mi preoccupava un po'.

La maratona, si sa, non è lo sport più televisivo, e quindi non sapevo come avrebbero gestito la documentazione dell'evento.

In realtà tanto di cappello anche agli autori. Il filo conduttore è l'impresa di Dean, ma il regista ci ha presentato angoli inconsueti d'America, il team che ha lavorato per rendere l'impresa possibile, e le centinaia di storie di persone normali che hanno voluto correre anche solo qualche metro in compagnia di Karnazes. Forse per poter dire 'io c'ero', forse per partire verso una destinazione diversa nella propria vita.

Il tutto montato con brio, in stile road trip, alternando paesaggi, corse, dettagli, ritmi e dietro le quinte.

Ci sono stati molti momenti emozionanti, più volte mi sono trovato con l'occhio umido.

In particolare quando ha spinto sul Golden Gate Bridge la carrozzina di un suo amico, compagno di tante corse, colpito da una malattia degenertiva. Prima della proiezione ci aveva detto dell'episodio, e che sperava che il suo amico potesse vedere il film. Purtroppo è mancato proprio pochi giorni fa.

I momenti commoventi si alternano a quelli divertenti e ai siparietti improvvisati.

All'uscita, non importa l'ora, viene voglia di partire per una corsa.

Magdalena Lewy Boulet

Quando noi mortali immaginiamo gli atleti olimpici, la nostra mente disegna muscoli scolpiti, menti affilate e volontà incrollabili.

La vita di questi eroi dei nostri giorni viene immaginata come monodimensionale: allenamento, alimentazione e riposo, ancora allenamento e così via.

E a leggere dei solitari inverni di Pietro Mennea in una camera d'albergo a Formia , l'idea di fare l'atleta olimpico improvvisamente diventa un po' meno affascinante.

Rimane comunque la scusa, per noi "normali", con lavori e famiglie a tempo pieno, che magari potremmo essere anche noi lì se non dovessimo sottostare ai doveri sociali e della sopravvivenza.

Poi leggi di Magdalena Lewy Boulet.

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Ai trials olimpici di maratona di quest'anno, corsi a Boston, è partita in testa, nessuno sapeva, o ricordava, chi fosse.

Forse perché era un signor, o meglio una signora, nessuno.

Nel 2004 aveva fallito la qualificazione per poco, quinta, poi era piombata negli abissi della fascite plantare. Con un futuro agonistico incerto, se non da accantonare, si è rimboccata le maniche e ha affrontato un lavoro a tempo pieno, e, soprattutto, un figlio a tempo pieno. Aiutando anche di quando in quando nel negozio di cui il marito è compropietario.

Per guadagnare tempo un bel po' di allenamenti se li è fatti in casa, sul treadmill, mentre il figlioletto prima giocava, e poi, sempre più cosciente e coinvolto, la incitava.

Un fondo medio in una stanza, con un unico tifoso, piccolo ma enorme.

E, sempre centellinando le risorse, si era qualificata con un insignificante, a livello di aspiranti olimpionici, 2h42'. Non c'è da stupirsi che il gruppetto delle inseguitrici, tra cui la primadonna della maratona USA, Deena Kastor, non sapesse chi fosse.

E' arrivata ad avere un vantaggio di due minuti, centoventi secondi, non un granché da correre col terrore di arrivare quarti, che negli USA significa essere fuori dalla squadra, e col ricordo del calo finale, nei trials del 2004, quando gli ultimi chilometri la videro svuotata e impotente di fronte al rientro delle avversarie.

Questa volta però aveva risorse nuove, paradossalmente date proprio da quella vita intensa, ma equilibrata, e fuori dai canoni degli atleti, più vicina a chi deve affidarsi all'agenda per incastrare, con ambiziosi equilibri, l'allenamento come una delle attività, neanche la principale, nella giornata.

Deena ha rimontato, e l'ha passata, relegandola al secondo posto in quella gara, ma al primo nel mio cuore, a questo punto.

E a Pechino ci andrà, come nelle favole, grazie all'impegno e ad una volontà non comuni. Come nelle favole all'arrivo dei trials gli si è avvicinata anche la responsabile Saucony, per averla come testimone di valori e sentimenti che tutti vorrebbero avere. Probabilmente non vincerà le Olimpiadi ma di certo ha ispirato ed ispirerà molti di quelli che ne conosceranno la storia.

Aggiornamento del 21/08/2008: Magdalena spiega cosa è successo alle Olimpiadi

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Dati e storia tratti dall'articolo "Back on Track" di Kibby Kleiman, pubblicato su East Bay Express. Foto dal sito Transports.

Considerazioni tecniche su Sequoia 50k

Si diceva 6h32', distribuite discretamente. Direi controllato e bene fino a 4h/4h30, poi il calo, che però non è stato un crollo come al GRPTV, ma un rallentamento, specialmente in piano e nelle salite ripide. Tutto sommato ho tenuto in discesa e nelle salite medie.

E questo lo attribuisco ai lavori più sostanziosi che hanno preparato questo evento. Un paio di lunghi da 6 ore, inframezzati da uno da due ore in piano, abbastanza sostenuto. Un chilometraggio settimanale in graduale ascesa spesso oltre i 60 km, con una punta di 76km. In più maggiore convinzione nei lavori più corti, soprattutto nelle salite.

Nessuna conseguenza nei giorni successivi. Giusto giusto un po' di indolenzimento ai quadricipiti se provo a correre in discesa.

E questo, non mi stancherò di ripeterlo, lo attribuisco ai lavori tecnici, in particolare in discesa dove cerco sempre di mantenere l'appoggio leggero e la frequenza alta. Con lavori specifici di allunghi a mente e corpo freschi.

Non sono uno che si scapicolla, in genere sono sempre controllato, ma con questo sistema anche in questa gara ho visto che in genere ero più veloce dei miei compagni di viaggio proprio in discesa.

Guardando al futuro direi che è una strada da continuare, graduale aumento del chilometraggio settimanale, con lavori di fartlek bello lungo e più corse vicine alla soglia.

Dal punto di vista meteo era una gara prevedibile e quindi non ci sono stati grossi problemi in merito all'abbigliamento. Per l'acqua mi sono affidato al marsupio amphipod con la borraccia da mezzo litro che è bastata tra un ristoro e l'altro. Mi sono alimentato regolarmente con Clifshot blocks, jelly beans e trail mix. Sempre acqua nella borraccia, mentre ai ristori qualche bicchiere di cocacola me lo sono buttato giù, con conseguente ruttino liberatore dopo qualche centinaio di metri.

Sequoia 50k - Oakland California

Questi gli obiettivi scritti la sera prima della gara:
1) finire entro il tempo limite (9ore)
2) finire entro le 7ore (personale sulla 50km 7h05')
3) saldo positivo sorpassi fatti/subiti nel secondo giro (ultimi 20km)

Questo il consuntivo:
1+2) chiuso in 6h32'
3) saldo più tre, quattro fatti e uno subito.

L'ultimo obiettivo è stato ideato in quanto ho la perniciosa tendenza a partire troppo forte. Forzandomi ad andare piano il primo dei due giri del percorso (il giro era da 20km, ma nel primo bisognava fare anche uno "sperone" da 5+5km di andata e ritorno) speravo di avere così una distribuzione equilibrata dello sforzo.

Così è stato, anche se il calo è stato comunque sensibile. Forse si può partire ancora un po' più piano, e decisamente allenarsi di più, cosa che stiamo gradualmente implementando, come si suol dire.

Per il resto un percorso in gran parte ombreggiato su sentieri morbidi e accoglienti. Lo dimostra il fatto che, al riveglio del mattino dopo, il tratto letto-bagno non differisce dal solito, con doloretti da avvio assolutamente nella norma.

In questo periodo la zona ad Est della Baia di San Francisco ha un clima quasi ideale per la corsa. Coperto più o meno fino alle undici con temperature ben sotto ai venti gradi centigradi, e poi un sole caldo e asciutto che può essere fastidioso allo scoperto. Nel caso della gara in questione, corsa tra i parchi Joaquin Miller e Redwood, l'abbondante vegetazione ha fatto sì che si sia corso quasi sempre all'ombra.

Organizzazione della
Pacific Coast Trail Run come sempre familiare e professionale allo stesso tempo.

Uno che dice pain al pain

"I fondisti sono esperti in dolore, disagio e paura. Non te ne esci sentendoti bene. E' una questione di quanto dolore riesci a gestire in quei giorni. Non è una strategia. E' solo la mente ed il corpo che devono fare il callo a gestire il disagio. Ogni podista serio si rimette in piedi. E' la natura del loro gioco. Sopportare il dolore."

Mark Wetmore, allenatore delle squadre di Cross Country della Colorado University
Dal libro
Running With The Buffaloes, di Chris Leary

Libro: "Running With The Buffaloes" di Chris Leary

Nel 1998 Leary, podista a sua volta, si è preso qualche mese di libertà e ha seguito passo passo la squadra di Cross Country dell'università del Colorado, per gli amici i Buffaloes.

E quando dico passo passo intendo che il libro è una specie di diario di ogni allenamento che quei ragazzi hanno fatto per prepararsi ai campionati nazionali.

Non rivelerò il piazzamento finale né altre sorprese che si incontrano lungo il percorso.

Ho fatto un po' di fatica a procedere, per problemi miei nei confronti dei diari e delle raccolte di storie, il racconto spezzettato non mi fa entrare in temperatura.

Per il resto è anche piuttosto tecnico ed in misure statunitensi, quindi gran dettagli dei tempi sul miglio per i quali non ho sensibilità. Mi dici quattro al chilometro ed ho un riferimento anche sensoriale, mi dici 6'26" a miglio e sono solo numeri. Stessa cosa per venti miglia in due ore.

Al lettore metrico decimale mancherà dunque quel sottile piacere di capire immediatamente quello che succede, senza doverlo tradurre mentalmente, o con la calcolatrice. Peccato perché per il resto riesce a dare un bello spaccato di quella che è la vita degli agonisti. Con utili incursioni nei loro pensieri, motivazioni e paure.

Ci sono inoltre molti spunti di riflessione in merito all'allenamento e alle strategie di gestione della stagione e della singola gara.

C'è anche una perplessità da parte mia. Parliamo di una università che ha una squadra costantemente nei primi cinque nazionali, che offre qualche borsa di studio, che ha un tecnico che crede in settimane da 160km in allenamenti singoli (niente bigiornalieri), eppure manca di un massaggiatore/fisioterapista convenzionato. E a fine stagione l'allenatore si siede alla scrivania cercando di capire perché ci siano stati così tanti infortuni, praticamente ogni atleta ha avuto problemi più o meno gravi.

Direi non tra i testi fondamentali, ma sono contento di averlo letto.

Lo Scarico, ancora lui

Si parlava dunque dello Scarico.

Ed eccolo ancora quì, sono quasi alla fine di due settimane di passione e privazioni. Niente allenamenti duri per sfogarsi, niente scarpe nuove, niente cibo sconosciuto. Terrore ad ogni doloretto strano.

Anche quì l'allenamento aiuta, ed essendo il secondo dell'anno lo sto soffrendo meno. Aiuta anche che la coscienza è più a posto del solito, avendo lavorato più seriamente e presentandomi ad una gara finalmente con la consapevolezza di arrivare alla fine confortevolmente, e di dover lavorare duro "solo" per completarla dignitosamente.

La strategia è delineata, lo studio del percorso procede.

Nota mentale: riflettendo sulle esperienza del passato ho notato che i miei personali sono sempre coincisi con un periodo di allenamento per una gara più lunga. Tipo personale sulla mezza quando preparavo una maratona, e il giorno dopo un paio d'ore di fondo lento. Mmmhh, torneremo sull'argomento.

Prospettiva

Negli ultimi giorni ero tutto preoccupato per l'idratazione del lungo di fine settimana. Alla fine, non senza patemi, ho scelto il percorso, la tempistica e la strategia in modo da risolvere il problema.

Partito alle 06:20, come previsto, dopo 45 minuti sono arrivato all'attacco del sentiero, in realtà una strada sterrata, che però mi piace tanto perché scorre ondeggiando senza grossi dislivelli. Quella era la parte che pregustavo, prima della salita ripida che mi avrebbe portato sulle terre alte e ventose.

Con la coda dell'occhio ho scorto un cartello che mi sembrava non aver mai notato, mi sono fermato, et voilà, il problema dell'idratazione non sembrava più così centrale nella mia vita.

Il cartello informava infatti che "recentemente c'è stato un avvistamento di un puma e di un cucciolo" proprio sul MIO sentiero preferito.

Si tranquillizzava il pubblico, sono animali che in genere non attaccano gli umani, a meno che costretti (per esempio, dico io, dalla necessità di nutrire i propri picccoli in un momento di ristrettezze generali). E via con i consigli distribuiti in 8 punti.

Quelli che mi ricordo: fare rumore, cantare, fischiare, battere le mani (fattibile), girare in gruppo (al momento non fattibile), in caso di incontro non mettersi a correre ma con calma alzare le braccia per sembrare più grandi possibile, e indietreggiare lentamente per offrirgli una possibilità di fuga (fattibile, da me, per la fuga sua non so).

E l'ottavo, il mio preferito: se vi attacca, combattete.

Grazie.

Si diceva, quindi, l'acqua passava in secondo piano, mentre riflettevo sulle abitudini di caccia dei predatori. Tramonto e alba. L'alba era già passata per cui potevo sperare in un gattone intorpidito da una lauta colazione. O un felino maldisposto per un inaspettato ed irritante digiuno?

Il mondo ha cominciato a funzionare al contrario, le zone ombreggiate, di solito rifugio dalla canicola, erano diventate perfetti luoghi per un'imboscata.

All'erta per ogni rumore sospetto, le due o tre canzoni che ho improvvisato, oltre che farmi sentire più esposto, incidevano anche sulla mia autostima, per cui sono passato ad una corsa leggera e circospetta.

Alla fine ho incontrato solo decine di miniconiglietti, neanche tanto preoccupati. Uno dei casi in cui l'analfabetismo ha dei vantaggi.

Il resto del lungo si è svolto senza grossi inconvenienti, passeggiatori e ciclisti domenicali hanno cominciato ad affollare il parco, ampliando la scelta di potenziali prede, in molti casi, voglio pensare, più appetitose e senz'altro più semplici da catturare (elemento che non sfugge al predatore, che in genere è prono a spendere le minori energie possibili nella quotidina lotta per mettere il pane in tavola).

L'acqua mi è bastata. Come un orologio, mezzo litro ogni due ore.

Al solito, se ti danno dei limoni facci una limonata, e il galateo della maglietta

Scott Dunlap rinvia a due interessanti articoli che riguardano il mondo della corsa:
1)
Gretchen Brugman parla della reazione alla recente cancellazione della Western States, gara di 100 miglia molto prestigiosa, a causa degli incendi che stanno devastando le zone vicine al percorso.
Per chi non abbia voglia e tempo di leggerselo la sintesi è che il corridore di lunghe distanze è allenato/abituato a trarre il meglio dalla situazione in cui si trova, e ad affrontare le difficoltà man mano che si presentano, senza lamentarsi, ma cercando di trovare la soluzione migliore. Se non si fa così difficilmente si porta a termine una ultramaratona, indipendentemente dall'allenamento.
Ovvio che la categoria penalizzata (si tratta di una gara per la quale bisogna qualificarsi e poi partecipare ad una lotteria in quanto le richieste eccedono di gran lunga i posti disponibili. C'è gente che ci prova per due o tre anni prima di esservi accettata) più di tanto non abbia protestato. Perché la situazione era di oggettivo pericolo, per loro e per le persone che avrebbero lavorato per l'organizzazione, perché in prospettiva i problemi erano ben più grossi di una gara persa, e perché han cominciato subito a pensare "ok, cosa ci faccio adesso con tutti i chilometri potenziali che ho nelle gambe". Ieri Scott Dunlap è arrivato secondo in una 50km, e il giorno prima ne aveva fatti altrettanti in allenamento.

2)
Bad Ben aggiorna sul galateo della maglietta.
Anche quì, in due parole, dice che si può indossare la maglietta di un evento solo se vi si è partecipato. Volontari e "altre metà del cielo" esentati dalla proibizione. Ma ci sono un sacco di altre regole curiose, da leggere con il dovuto sorriso.

Col de Moi e la certezza della pena

Con il Col de Moi, "cima" a 1358m slm alle spalle di Valmareno, avevo un conto in sospeso, più d'uno in realtà, perché non l'ho mai conquistato senza penare nell'ultima parte.

Il clima ballerino mi ha allontanato dal coinvolgere amici da inzuppare e così l'ho affrontato in solitaria, non prima di aver
avvisato casa sulle mie intenzioni.

Ho provato la direttissima, su per la strada dietro Valmareno, e poi a destra sul 1072, troi val de foran, che non avevo mai percorso, l'equivalente sentieristico di una scala a pioli, o poco meno

Rassegnato alla pendenza ho innestato le ridotte e progredito fino alla cima, passando per tratti in cui l'erba era effettivamente alta.

Ma per la prima volta quell'ultima erta non è stata una via crucis, con tutte le stazioni e forse qualcuna in più.

Mi stavo quindi godendo da vincitore la discesa verso Praderadego quando dei rumori nella foresta mi hanno bloccato. E mi è venuto in mente di come la certezza della pena, e non la sua gravità, sia in effetti il deterrente più efficace.

La remota possibilità che una zecca mi assalisse, per poi forse trasmettermi una encefalite dagli esiti, forse, letali non mi aveva infatti minimamente rallentato in precedenza, avanzando nell'erba altezza vita.

Adesso, più di un quintale di cinghiale di traverso sul
mio sentiero mi stava congelando sul posto. Uno dei due in effetti se n'era andato subito grugnendo in un linguaggio incomprensibile, ma l'altro (la madre?), non sembrava intenzionato a cedere. Rischio di assalto, non quantificabile, ma perché rischiare? Rapido dietro front e ricerca di una via alternativa. Fortunatamente ero in zona piuttosto conosciuta e ho trovato una scorciatoia per riunirmi al sentiero un po' più in basso.

Il finale è stato di pura soddisfazione nella discesa sterrata che riporta a Valmareno, poche volte corsa così velocemente. Lo attribuisco alla forma del periodo, il cinghiale era ormai alle spalle, ma non vicino.

22ma Corsa di Sant'Antonio - Gorgo al Monticano TV

Altro percorso, in pianura sì, ma vario e divertente. Passaggi dentro il ,mini, parco della Villa Foscarini, e quello del ristorante Revedin, più un sentiero dentro un tratto boscoso. Poi un sacco di campagna , argine e qualche tratto asfaltato.

Nel complesso comunque scorrevole, e con più ristori del solito, tre sicuri, se non quattro, nel percorso della 12km.

A livello personale, complice una lepre scatenata, ne è uscito una delle migliori prestazioni dell'ultimo anno. Corsa tutta cercando di non forzare, visto che in teoria sono ancora in recupero dai recenti impegni "agonistici".

Uno dei sistemi che ho applicato di più è quello della marionetta. Due fili mi guidavano, uno attaccato alla sommita della testa mi tirava verso l'alto-leggermente-avanti, e l'altro attaccato cinque centimetri sotto l'ombelico, mi tirava avanti.

Fili ideali, certo, ma il corpo e la mente faticano a distinguere una situazione vividamente immaginata da una reale.

Maratona di Scandiano (RE)

Dai produttori della Maratona di Reggio Emilia (se non la conoscete significa che non vi occupate di Maratona e/o non siete Italiani) ecco che più o meno ogni primo venerdì sera di Giugno ci viene offerta questa simpatica manifestazione.

Trattasi di maratona normale cui viene affiancata la staffetta (6 atleti per 7km ciascuno, il primo fa 195 metri in più ) corsa su un circuito di 1400 metri che ruota attorno alla pista di Scandiano, cittadina sportiva, tra Modena e Reggio Emilia, ai piedi delle colline che preludono all'appennino emiliano.

Gli individuali erano una ventina a fronte di sessantasette squadre, alcune molto agguerrite.

Nota personale, venendo da un periodo in preparazione di un'ultra in montagna ero quanto di più lontano mentalmente e fisicamente da un 7km in piano misto pista/asfalto/sterrato, e si è visto.

Già alla partenza, ero in prima frazione, mi faceva strano non avere la borraccia e un po' di cibo di riserva, che sì, i ristori hanno detto che ci sono, ma non si sa mai.
Poi sono partiti tutti come dei fulmini, ero praticamente ultimo dopo cento metri, complice anche un riscaldamento approssimato per difetto.
I sorpassi: in montagna ti affianchi, scambi due parole, nella durata di un sorpasso in genere vieni a conoscere i dati anagrafici base del tuo 'avversario', a volte stringi anche una breve amicizia. In pista devi stare all'erta, per non creare intralcio, e perché lo spostamento d'aria rischia di farti del male.

Alla fine della serata, le frazioni corse saranno due, complice l'assenza di qualche compagno di squadra, e la consapevolezza una, se mai servisse ulteriore conferma: il nostro fisico si adatta in maniera estremamente specifica.

Lo dimostra il fatto che già la prima frazione mi ha causato doloretti che non avevo da tempo, e tre piccole vesciche a piedi che erano usciti intonsi da oltre 12 ore su sentieri di montagna.

Questo è la grande verità da cui spiccano il volo tutte le tabelle di allenamento, con un piccolo problema, il fisico si adatta velocemente, ma se lo stimolo resta uguale dopo un po' si stabilizza e non migliora più, anzi peggiora.

Chi inizia a correre può semplicemente uscire e per le prime settimane probabilmente riuscirà ogni seduta (ma perché una sessione di allenamento di corsa si chiama 'seduta'?) a correre più a lungo e più velocemente della precedente.

Poi però si raggiungerà un limite oltre il quale si comincerà addirittura a peggiorare, e quindi bisogna inventarsi una specie di variabilità nella specificità del lavoro.

Ma non è finita, perché se per esempio lasci le ripetute veloci, perché tanto non ti servono per fare il Passatore, dopo un po' le tue qualità muscolari, tecniche e aerobiche scadranno, e quindi correrai peggio, a rischio infortuni, facendo più fatica e andando più lentamente.

Un lavoro generale è quindi sempre consigliabile, anche perché, dovesse sorgere la necessità di una frazione veloce per una staffetta, si è pronti.

Progetto di documentario su Marco Olmo

Sembra sia ancora un lavoro in corso, però ci sono già due o tre bei momenti. Per chi non sappia chi è Marco Olmo, direi solo che ha vinto l'Ultra Trail du Mont Blanc (160km circa attorno al Monte Bianco).

Finesettimana del tre per dieci (chilometri)

Sabato, due giri del lago morto, e laghetti blu.
Sterrato tecnico da montagna e sentiero, su e giù tranquillo a parte tre strappetti cattivi.

Domenica,
3a marcia amici del parco Bolda, Santa Lucia di Piave.
Per gli amici dell'asfalto orizzontale, con solo una spruzzata di sterrato. Bella scorrevole, non c'è che dire.

Lunedì,
9a passeggiata alla scoperta del territorio, Soffratta di Mareno di Piave.
Argine, bordo campi e sterrato di campagna, erba e sconnesso soffice. Che bei posti che abbiamo quì in giro.

In genere preferisco, non solo io, anche il buon senso e buona parte degli allenatori, non fare due giorni consecutivi lo stesso lavoro. In realtà si è trattato di tre attività tutto sommato diverse (ma proprio tanto), che hanno sollecitato gruppi muscolari e abilità differenti.

Un motivo in più, al di là delle preferenze personali, per alternare superfici e inclinazioni su cui si corre. Un investimento in termini di capacità di adattamento e prevenzioni infortuni.

Strategie e tattiche per la gestione delle crisi

Chi abbia corso, poco o tanto non importa, sa che il momento di difficoltà, La Crisi, prima o poi arriva.

Chi abbia letto qualche libro di Trabucchi (vedi
riferimenti bibliografici) sa anche che c'è un dialogo tra corpo e mente in cui entrambi si influenzano a vicenda.

Questo significa che se il corpo dice che è stanco, e la mente gli risponde che è vero, il corpo si sentirà ancora più stanco, forte di questa validazione.

E' però anche vero il contrario, se uno dei due (corpo e mente) fa finta che non sia vero, l'altro ci casca e reagisce ristrutturando le sue sensazioni, arrivando a stravolgimenti miracolosi della situazione.

Prima di andare sulla possibilità di influire volontariamente sulla situazione, vediamo tre esempi di soluzione "involontaria" di una crisi, e pensate se non vi sia mai capitato.
State correndo, esausti per aver forzato ai limiti delle vostre possibilità. Il mondo vi appare grigio e lattiginoso, trascinate i piedi e avete rischiato di inciampare, o l'avete fatto, su un sasso neanche tanto grande, e da lontano vedete comparire:
1) i vostri amici che vi incitano a gran voce applaudendo;
2) un fotografo dell'organizzazione che immortalerà la vostra condizione per i posteri;
3) un pastore tedesco che pare non troppo felice del vostro arrivo.

Ditemi che tutte le vostre miserie legate alla stanchezza non scompaiono per un tempo più o meno lungo, senza che le vostre condizioni fisiche siano effettivamente cambiate.

Una volta coscienti di questo doppio filo che lega corpo e mente vediamo come si può influenzare questo dialogo.
Per prima cosa io direi di fare una rapida valutazione dei motivi della crisi, che possono essere seri o meno.

Per esempio avere corso le ultime due ore in pieno sole, senza bere una goccia d'acqua, e sentire una certa secchezza delle fauci lo potremo per comodità definire un motivo serio. Se al settimo chilometro di un diecimila avete un momento di difficoltà direi che potremmo definirne il motivo come meno serio.

Nel caso di crisi causate da problemi di tipo metabolico, fame, sete, squilibrio di sali, è opportuno comunque agire sulle cause principali perché ogni trucco mentale è destinato a durare poco (ma comunque potrebbe funzionare per un po').

Ma vediamo quali potrebbero essere queste tattiche.

Una delle mie preferite e quella di togliermi l'onere della decisione. Quel tarlo che, specie se sei stanco, ti consuma energie a gratis, che potrebbero essere meglio spese.

"Mmmh, fa freddo, tira vento, un tempaccio per uscire".
Questa è una crisi preventiva, priva di basi metaboliche, che ho dovuto affrontare parecchie volte. Beh, io esco comunque dieci minuti, e se poi sto proprio male torno dentro. Una volta fuori e avviati in genere si continua ad andare.

Nelle gare lunghe il ritiro non lo prendo in considerazione, a meno di infortuni che possano crearmi problemi a lungo termine. Non ho la pressione di dover pensare "mi fermo o no?" e quindi posso rilassarmi e pensare ad avanzare.

Domenica, dopo un terzo di gara, in piena crisi, l'idea di ritirarmi mi aveva onestamente sfiorato.

Però non avevo problemi fisici, e ho prima pensato che avrei dovuto telefonare e spiegare a tutti che non ce l'avevo fatta.

Un lavoraccio, mi son detto, non voglio farlo, né voglio rendere inutile il sacrificio di chi è venuto a sostenermi.

E poi mi è venuta in mente la frase di Livio Tretto, quando gli dissero che il suo allenatore pensava non ce l'avrebbe fatta a finire gli ultimi 15km di una 100:
"Si è vero...forse...ma avrebbero dovuto spararmi nella schiena..."

Così ho lasciato la decisione ai direttori di gara, se non arrivavo ai cancelli in tempo era giusto che mi abbattessero.

Loro.

Io sarei andato avanti sino ad allora.

Una volta tolto l'onere della decisione di fermarsi rimane comunque il problema di andare avanti.

Una prima tattica potrebbe essere di tipo fisico: accorciare il passo, alleggerire l'appoggio, sistemare la postura (in pratica quello che facciamo quando vediamo il fotografo in lontananza). Da provare, non richiede sforzi di motivazione e ci fa sentire subito meglio. Uno di quei casi in cui la forma equivale a sostanza.

Un'altra invece di tipo mentale. Sessanta chilometri sono una distanza enorme, in fondo anche dieci. Se ci poniamo l'obiettivo di arrivare solo fino al prossimo cartello chilometrico ecco che l'impresa sembra percorribile. Uno dei miei riferimenti in questo campo era arrivata a porsi l'obiettivo di contare fino a 100, e poi vedere. Nel caso di gare in montagna lo scollinamento è sempre un bel posto dove porre il proprio traguardo parziale.

Una delle crisi che a me stava proprio antipatica era quella del settimo chilometro sulle gare di dieci. Non aveva motivazioni serie per me e non la voleva degnare neanche di trucchi, la battevo a viso aperto sistemando la postura e accelerando. Questione di qualche centinaio di metri e ci si poteva rilassare sull'andatura di gara che a quel punto sembrava pure facile.

C'è poi chi usa i mantra da ripetersi in modo da entrare in una specie di trance. Io non è che ci riesca. Quello di
Sarah Reinertsen è "hot shower, cold beer, straight ahead". Che suona più o meno "doccia calda, birra fredda, dritto avanti".

E poi ce ne sono altre, ma non oggi. A livello generale è importante acquisire la consapevolezza che fatica e difficoltà fanno parte della corsa, non come avversari ma come parte integrante del processo di apprendimento. La fatica va quindi accettata, ma su questo ci sto ancora lavorando.

In estrema sintesi, la cosa più importante da ricordare è che
se pensiamo di essere stanchi in effetti lo saremo, e viceversa.

Puro Stile Prefontaine

"Il giro posso anche perderlo, comunque chi lo vincerà soffrirà"

Danilo Di Luca

Considerazioni tecniche su GRPTV

Sconfitte e vittorie servono a ben poco se non si impara qualcosa dall'esperienza, e quindi vediamo se ci riesco.

Si
parlava ieri del GRPTV con note di colore e riguardanti l'organizzazione.

Oggi ho fatto un'oretta e un quarto di camminata veloce alternata a dei piccoli tratti di corsa. Nel complesso sono a posto, fastidio alla testa dei femori specialmente correndo su asfalto, muscolarmente stanco ma pochissimi dolori, tendini a posto.

Primo pensiero: incredibile.

Secondo: la tecnica di corsa, su cui ho lavorato in particolare negli ultimi quattro anni, ha pagato.

Perché andiamo un attimo a vedere la preparazione, durata quattro mesi, partendo da una base di circa 35/40km settimanali, in tre sedute di corsa e due passeggiate in piano da un'ora, e con "lunghi" domenicali da 11/12km. Ci sono anche due sedute casalinghe di potenziamento della parte superiore del corpo.

Ho mantenuto le garette domenicali come una specie di medio. Ho aumentato gradualmente la durata delle passeggiate spostandole in collina e poi trasformandole in lunghi specifici, con uscita su terreno simile a quello di gara. Per motivi di tempo ho concentrato i lavori superiori alle due ore durante il fine settimana (vedi
ragionamento su back to back).

Di ripetute (che notoriamente non amo) ho fatto solo 3 sedute su una salita piuttosto ripida di circa 400mt. Sia con salita veloce e recupero in discesa, che salita camminando e discesa scavezzacollo, più per motivi tecnici quest'ultima.

I tre lavori grossi sono stati
- 3h di passeggiata in montagna il sabato seguita da 3h40' la domenica su parte del terreno di gara,
- 3h la domenica pomeriggio dopo una 12km della mattina
- ultimo lungo 6h fatto il sabato di due settimane prima della gara, seguito da una 11km "tirata" la domenica mattina.

Onestamente non un granché, forse ho superato i 50km complessivi solo nella settimana dell'ultimo lungo. Direi che è possibile migliorare ( :-O significa che hai intenzione di rifarla?) e che mi sono salvato solo grazie ai lavori di tecnica di corsa, che mi hanno consentito di non creare danni.

Conoscendomi so che in gara riesco a fare più o meno il doppio allo stesso ritmo dell'allenamento. Il lungo di sei ore, ma di più la corsa del giorno dopo mi avevano abbastanza tranquillizzato. Ciò non toglie che probabilmente sia partito un po' troppo veloce , non avendo la sensibilità su quanto potessi gestirmi per restare nel tempo limite.

A spanne direi che il periodo di lavoro specifico va allungato di almeno un mese, partendo da una base un po' più consistente. Qualche lungo in più, non necessariamente di durata superiore alle 6/7 ore, ma che preveda almeno due salite principali ripide. Incrementare le sedute tecniche su discese ripide, decisamente.

Abbigliamento ed accessori utilizzati*:
- Nike Structure triax 11+ molto bene**, i piedi sembrano nuovi di fabbrica. Forse pagano un po' rispetto alle scarpe da trail su terreni super tecnici, in particolare sentieri inclinati lateralmente e rocciosi, ma su cemento e asfalto riguadagnano il perduto, pereggiando nel mezzo. Siccome alla fine un po' di asfalto e cemento c'è sempre, continuo a posticipare l'acquisto di una scarpa da trail.
- calzini
sock guy personalizzati da PCTR;
- pantaloni da triathlon tipo ciclista sotto i pantaloni corti stile bermuda (nessuna frizione registrata);
- due
cerottini tondi Walgreens sui capezzoli (molto bene, nessun problema anche lì )
- zainetto
camelbak blowfish (quello che si può espandere se si porta tanta roba), modello fuori produzione;
- borraccia
amphipod da mezzo litro, forma eccezionale, da riempire ai ristori e poi godersi alla bisogna. Col sistema vescica integrata più cannuccia non mi trovo perché sono pigro e pulire quella cosa è un incubo, e poi non so mai quanta acqua mi è rimasta, e siccome è sempre a disposizione va a finire che la bevo tutta troppo presto.
- uno o due etti di trail mix casalingo, composto da arachidi salate, m&ms, mandorle, uvetta (un toccasana in cima alle due salite principali);
- due confezioni di
Clifbar shot blocks (un blocchetto ogni tanto)
- berretto con visiera Nike featherlight (leggero ed eccezionale, sia in caso di pioggia che di sole, è bianco ma la parte inferiore della visiera è nera antiriflesso)
- maglia di ricambio con manica lunga (messa quando ha iniziato a piovere. Non è comunque male indossare un capo asciutto dopo aver sudato sette ore nel precedente);
- giacca leggera stile kway (non utilizzata);
- cellulare e biglietto da 20 € in sacchetto da freezer (non utilizzati)
- 4/5 chewingum daygum protex (utilizzati due per un piccolo errore di valutazione sulla distanza di un ristoro, ero rimasto senz'acqua e avevo la bocca un po' secca);
- cerotti compeed per emergenze vesciche (non utilizzati);
- due o tre confezioni da self service di sale da cucina (non utilizzate)
- guanti leggeri in cotone (non utilizzati)
- guanti in pastica da settore verdure del supermercato (non utilizzati)
- borsa in plastica da supermercato (non utilizzata, in ogni caso è probabilmente meglio ritagliare una di quelle coperte termiche che danno agli arrivi delle maratone, per crearsi un corpetto di emergenza in caso di vento o freddo)
- orologio nike fissato alla spallina dello zaino (ottima visibilità quando serve, nessun disturbo, attenzione alle pressioni non intenzionali dei tasti togliendo e rimettendo lo zaino).
- spalmata di protezione solare SPF 15 al mattino. Mi sono salvato solo perché c'erano nuvole, credo che in caso di sole pieno servano fattori di protezione a livello del Kevlar.

_____________

* disclaimer: non ho interessi economici in nessuno dei prodotti citati. Ho degli amici sia alla Clifbar che in PCTR. In ogni caso uso i loro prodotti perché mi ci trovo bene.

** Delle Nike structrure triax 10
non avevo parlato benissimo in quanto appesantite e hummerizzate rispetto alle 9, che invece avevo amato. Con le 11 sono tornati ad una struttura un po' più leggera, ma comunque protettiva. E' tornata purtroppo anche la linguetta che si sposta verso l'esterno.
Devo però dire che le 10 hanno lavorato senza lamentarsi fino praticamente all'altro ieri, e sono morte in silenzio dignitoso, come avevano vissuto, portandomi alla fine del lungo di sei ore prima di spirare tra le mie braccia.

Grand Raid Delle Prealpi Trevigiane (GPRTV) - Segusino TV

Prima edizione, con scelta tra 34 e 59,7 chilometri.

Ho scelto la lunga, che oltre ai chilometri ha anche parecchi metri, 3445 per la precisione, di dislivello positivo. E c'erano tutti, in quattro dosi massicce, e altre di contorno.

C'era anche il dislivello negativo, perché si partiva ed arrivava più o meno alla stessa altezza. Quello si è percepito più alla fine, quando si precipitava da 1.700 a poco meno di 300 metri sul livello del mare in più o meno 8 chilometri.

Era un da quì a lì, da Segusino a Fadalto, seguendo quella linea di cresta che in genere serve a delineare confini e a rivelare panorami (e quì si parlerebbe di dolomiti e laguna veneta). Un percorso naturale, niente costrutti sintetici a fini agonistici o logistici, ideale per apprezzare la bellezza di questi luoghi, spesso dimenticati a favore di altri più rinomati.
Ma, intendiamoci, niente sconto sulle difficoltà. Di fatto le Prealpi non lo sanno che sono solo dei monti che preparano alle asperità vere, e si comportano da vere montagne, con pendii che si possono osservare da vicino, il suolo ce l'hai di fronte, più che sotto, in più di un tratto.

C'erano nuvole basse, che hanno nascosto le meraviglie intorno per rivelare le miserie interne. Viaggiare per ore con pochi metri di visibilità può essere un bell'esperimento di autocoscienza.

L'organizzazione si è prodigata con generosità nella segnalazione e assistenza sul percorso. C'era l'impressione che, dovesse sorgere un problema, sarebbe immediatamente comparso qualcuno della protezione Civile, o del Soccorso Alpino, per risolvere la situazione. Una sensazione confortante, che ha segnato la mia esperienza in modo positivo, mettendo in secondo piano qualsiasi altro aspetto. Vedere una solitaria figura intabarrata comparire nella nebbia, pronta ad aiutare, mi ha in più di un caso commosso.

Nella prima parte sembra che più d'un partecipante si aspettasse più cibo ai ristori. Memore di varie gare fuori strada io mi ero attrezzato per affrontare eventuali emergenze, compreso uno stomaco che digerisce meglio le cose che mangia di solito. Per cui non me ne sono neanche accorto.

In ben più di un luogo, fisico e virtuale, gli organizzatori stavano e stanno raccogliendo impressioni per migliorare (il vero segreto dell'eccellenza, fare domande) e quindi immagino che l'anno prossimo si potrà banchettare a piacere. Se ci sarò io continuerò comunque a portarmi il kit per le emergenze alimentari, che pesa poco e dà sollievo anche nei luoghi dove le macchine non arrivano, ma la fame sì.

Ognuno ha le sue priorità, per quanto mi riguarda non posso che complimentarmi con gli organizzatori per il già citato lavoro sul percorso, la messe di informazioni a disposizione prima della gara, la cortesia e disponibilità dimostrata in occasione di ogni richiesta.

Da segnalare anche il merito indiretto, che risiede nella scelta, di un percorso in cui ci si è dovuti confrontare con superfici tra le più disparate. Della corsa amo anche il contatto con il terreno, e le diverse risposte che si ottengono da un tappeto di foglie umide, un pascolo d'alta quota, uno sterrato roccioso, e, veramente, chi più ne ha più ne metta.

Il tempo limite era 13 ore, credo quasi fattibile camminando sempre di buon passo. Io ho chiuso in 12h10', correndo anche, ma camminando proprio piano in certi tratti.

Avendo dovuto lottare con una crisi più o meno dall'ora quattro di viaggio, dopo otto ore di corpo a corpo (o corpo a mente?) ero piuttosto incline a considerare l'esperienza come unica e non ripetibile. A distanza di due giorni però, vedo che già inzio a pensare a come potrei prepararmi meglio per limare qualche minuto alla prestazione di quest'anno. Non dovrebbe essere difficile.

Oggi ho guidato fino all'aeroporto di Venezia, 50 chilometri tondi, quasi tutti in piano, a parte qualche cavalcavia, e ho pensato che non era poi una grande distanza da coprire a piedi. Senza fretta.

Lo Scarico

In un piano di allenamento che si rispetti una delle fasi più importanti e quella de Lo Scarico.

Il corpo, e la mente, temprati e stressati da lunghi, medi, corti e ripetuti, si prendono il meritato riposo prima della gara in modo da farci arrivare alla partenza al meglio di quello che possiamo essere in quel momento.

Fase importante, si diceva, perché se faccio una maratona il mercoledì, "per provare il percorso", è probabile che arrivi istruito alla domenica, ma di certo non al meglio, in quanto una maratona si recupera in più settimane.

L'esempio era estremo, lo so. Ma chi non ha mai pensato che, forse, facendo quell'ultimo allenamento tirato si possa limare qualcosa al tempo di arrivo.

Fase importante ma anche delicata, perché non si può più migliorare, si può solo mantenere, lucidare e far risplendere il lavoro fatto finora.

Si può al limite peggiorare facendo qualche stupidata.

Tipo spostare mobili pesanti da soli piegando la schiena in modo inconsueto, o inciampare su un sasso che era lì da sempre, e che fino al giorno prima della gara abbiamo sempre evitato. O anche solo mangiare al ristorante messicano per la prima volta proprio il sabato sera (nulla contro il messicano, anzi, era per far passare l'idea del cibo strano e mai provato).

Questa fase è dunque anche la fase più noiosa ed irritante. Gli allenamenti vengono diminuiti gradualmente, si mantiene la qualità ma si taglia abbondantemente sulla quantità. Ciò fornisce maggior tempo libero e minori endorfine, una combinazione letale per i familiari di chi stia facendo scarico.

Quanto dura? Dipende da quanto tempo ci si impiega a recuperare l'ultimo lungo. Se parliamo di maratone o ultra, in genere si considerano tre settimane. Sicuramente le ultime due.

Non si può provare niente di nuovo, per scaramanzia in parte, e perché non c'è tempo per recuperare eventuali errori. Niente cibo esotico al nostro stomaco, niente abbigliamento appena comprato e, soprattutto, niente scarpe nuove.

Sei lì cristallizzato in un mondo in cui non puoi evolverti.

Una sensazione orribile per un essere umano.

Su e zo par el Montegan - Lutrano di Fontanelle

L'anno scorso lamentavo che questa corsa era stata ingiustamente penalizzata dal periodo di rilassamento dopo le maratone primaverili. Il caldo aveva fatto il resto deviando molti verso il mare, probabilmente.

Problema quasi opposto quest'anno. L'ombra che in tante parti rinfrescava il percorso non era necessaria, in un fine settimana in cui sono caduti più millimetri di pioggia che in tutto il maggio 2007. Almeno così dicono i misuratori, e probabilmente chiunque sia dovuto stare all'aperto in qualche momento tra venerdì e domenica.

Dall'altra parte mi ero rassegnato ad affrontare fango in quantita' copiose, non che mi dispiacesse, pero' immagino che potesse essere un freno per molti altri.

E invece no, altra magia, sui poco più di 11km di percorso, quasi interamente tra sterrato e campi, le zone con fango non superavano un totale di cento (100) metri. E si trattava solo di dover fare un po' più di attenzione, tutto qua.

Io non so come facciano, ma se fossi un organizzatore andrei in pellegrinaggio a Lutrano per farmi passare qualche segreto. Che poi ti parlerebbero di passione e attenzione, ne sono sicuro.

E se andiamo al contorno, il trattamento è rimasto familiare, ricordiamoci che la parte ristori è gestita dalle mamme dei bambini della locale scuola elementare, non si sbaglia mai neanche lì.

Io insisto, se non siete maniaci dell'asfato biliardato e vi piacciono le corse in campagna, è una manifestazione da non perdere.

30ma marcia Edilcementi - Sernaglia della Battaglia

Partenza e arrivo sono a poche centinaia di metri dalla cugina autunnale. Fino all'anno scorso il percorso aveva analogie che le rendevano piuttosto simili (se non ricordo male, ho una memoria mentale pessima per i tracciati di gara).

Da quest'anno hanno cambiato tutto e la corsa si è sviluppata da tutt'altra parte, sempre quasi tutta in piano, con sterrato, facile, a sufficienza, e 10,16km nel conteggio finale del Garmin che avevamo sguinzagliato sul percorso Happy

Il paesaggio non è dei più memorabili ma, hey, se sei lì che lavori sull'interno per mantenere fluidità e compostezza, il panorama passa in secondo piano.

Che dire, una prestazione che mi ha sorpreso in positivo visto il lungo del giorno precedente. Dopo un autonno/inverno in souplesse è piacevole essere in una programmazione in vista di una gara.

Poter dire che quello che si è fatto questo fine settimana sarebbe stato impossibile solo un mese fa è una bella soddisfazione. Alla fine, come mi scappa da dire ogni tanto, non si può sempre stare sulla soglia (aerobica), qualche volta si può star dentro al calduccio senza rischiare nulla e qualche volta si deve andare fuori a sfidare la tormenta.

Back to back

Si chiamano cosi' gli allenamenti spezzati, letteralmente sarebbero consecutivi.

Esempio pratico: invece di un lungo di 30km, fare 20 km stasera e 20km domani mattina.

Sono la stessa cosa?

No.

Pero' il back to back ha il vantaggio di farti partire per i 20km con una situazione di affaticamento che simula la seconda parte di una maratona, per esempio, caricando meno giunture scricchiolanti per età e/o usura.

Io lo uso in fase di costruzione, quando non ho fondo per fare robe serie ma, perdinci, posso per esempio camminare 3 ore oggi e fare un collinare domani mattina. Mi consente di metter via chilometri più velocemente limitando il carico sugli arti inferiori.

In genere non faccio comunque due lavori uguali ma cerco di sollecitare la muscolatura in modo diverso. Per esempio con una uscita collinare e una in pianura. Oppure una in cui corro e l'altra in cui corro/cammino.

E' attività che in genere è utilizzata da ultramaratoneti, i cui lunghi sarebbero troppo lunghi, ma spezzati sono meno traumatici.

Per la vita normale è meglio optare per il riposo tra gli allenamenti al fine di permettere un adeguato recupero. Oppure metterci il nuoto, o la bici, o altre attività che stimolano ma non lavorano sugli stessi sistemi.

Però ci sono quei giorni, ogni tanto, in cui il back to back può tornare utile.

36ma marcia del donatore e della solidarietà - Conegliano, loc. Colnù

Se disegni un percorso dietro le colline di Conegliano sai già che di tanto non puoi sbagliare: sono bei posti.

E una buona misura di questo è il fatto che molti si sono lamentati che la gara sia finita quasi subito. Un piccolo contributo l'ha dato anche la constatazione che il percorso medio, dichiarato di 13km, alla fine si è dimostrato superare di poco i 9km.

Quando ti derubano di un'emozione fa sempre male, e se te la scontano di oltre il 30% un po' di delusione è da mettere in conto.

Ma se il premio sono le merendine
Stefania, "senza grassi idrogenati aggiunti", un po' ti passa.

In ogni caso eran tutti con la testa al motoGP che stavano registrando a casa, e quindi non si poteva chiedere di più. Spero che l'anno prossimo tornino al classico, son zone che possono allietare una domenica mattina, a percorso completo.

Nel pomeriggio salita da Tovena al Monte Torresel (almeno credo), e ritorno. Quel
George Mallory aveva capito qualcosa.
Se mi chiedessero 'cosa vuoi fare da grande?' Adesso so che risponderei: lo
Scollinatore.

Quando arrivi sulla vetta di un colle, fosse anche alto poche centinaia di metri, ti rendi conto che provi una sensazione di soddisfazione fisica, non mediata. Non per niente arrampicare è considerato uno schema motorio di base.

Poi ti guardi intorno e realizzi che hai raggiunto il punto più alto che potevi in quel percorso di vita.

E' quando la realtà incontra le tue aspettative.

Qualcuno la chiama felicità.

Podcast sulla Corsa in inglese

Per chi sia interessato alla pratica dell'Inglese e alla corsa: ho trovato questa lista di podcast in Inglese.

Non so come siano, ho provato solo
Trails and Tribulations, perché mi piaceva il nome e perché c'erano delle interviste interessanti.

Magari se avete altri suggerimenti potete aggiungerli tra i commenti.

The Rob Hall Dilemma

Nel 1996 l'Everest chiese, ed ottenne, un tributo di vite consistente per una serie di circostanze sfavorevoli, ai donanti.

In particolare Rob Hall, una delle guide, stava ancora salendo ed aiutando suoi clienti ben oltre il llimite che era stato fissato per il ritorno.

Facile, seduti su una poltrona, con un bicchiere di tè ghiacciato sul tavolino, scuotere la testa al mancato rispetto di una così elementare norma di sicurezza.

Questa mattina, però, ero diretto con precisione verso la cima del Col de Moi (1358 mslm), niente che richiedesse sherpa o ossigeno, ma comunque un discreto impegno partendo da 250 m e cercando di arrivarci in meno di due ore, e con l'idea di tornare indietro ove non ci fossi arrivato entro quel tempo.

In palio non c'era la vita ma un possibile ritardo per pranzo (tutto in proporzione).

In ogni caso, complice un lieve errore di percorso, che mi ha portato su un sentiero che circumnavigava la base della cima, mi sono trovato ad affrontare il 'colle sud', una ripida erta, mentre le due ore stavano per scadere. Il cocuzzolo non si vedeva e mi è tornato in mente il povero Rob che avrebbe dovuto tornare indietro, ma il risultato di tanti sforzi era così vicino...

In ogni caso la mia storia si è dipanata in modo decisamente meno drammatico, alla fine del tratto ripido c'era la croce, piazzata proprio sulla cima, cui sono giunto solo pochi minuti dopo il previsto.

Al pranzo di famiglia sono arrivato puntuale ma mi è rimasto il pensiero di tanti confini che si tracciano e sembrano ragionevoli prima. Poi, quando sei lì, in realtà sono solo cinque minuti in più alla volta, per vedere cosa c'è oltre il dosso, o perché il traguardo sembra a portata di mano.

Non ho una soluzione.

Spirito Trail

Nuovo sito, Spirito Trail, con interessante webzine ed accessori, che tratta di trail running.

Il sito sarà pure nuovo, ma chi c'è dietro ha ben più di qualche zolla di fango nelle suole delle scarpe, garanzia di esperienza sul terreno, che è cosa importante.

La webzine mi è proprio piaciuta, la comunità deve crescerci intorno, ma credo che lo farà, viste le premesse.

21ma corsa podistica "Città di Motta"

E mentre progetti di corsa si dipanano dietro le quinte ecco che ci ritroviamo a Motta, una delle gare classiche del circondario.

Una di quelle in cui sei quasi sicuro che troverai: un'organizzazione rodata, un percorso lungo fiume e/o canale, con qualche spunto di riflessione (l'acqua è sempre l'acqua, maestra di flessibilità e di adattamento alle circostanze), ristori forniti e vecchie amicizie.

Un po' piu' asfalto di quanto ci sarebbe piaciuto, ma non e' neanche facile disegnare percorsi che piacciano a tutti.

Per mia fortuna, dalle mie parti, li disegnano che piacciono a me, più spesso che no.

Immagini della Treviso Marathon

Come ogni anno ho visto tutto il percorso da Vittorio Veneto senza correrlo.

Immagini che mi resteranno impresse:

1) il passaggio sul Ponte della Priula, affollato in ogni ordine di posti e con centinaia di bandiere.

2) un capo ristoro che redarguiva pesantemente un sottoposto, indicandogli come doveva impugnare la bottiglietta da porgere agli atleti.

3) gli atleti sparsi all'uscita dagli spogliatoi, dopo. Chi con la famiglia, chi da solo, quelli che camminavano con le gambe rigide, quelli che stavano seduti a meditare.

Fossi stato uno spettatore stazionario mi sarei messo alla confluenza dei tre percorsi. Chi ci e' stato mi ha confermato che e' stato commovente.
E, al momento, esperienza unica, visto che l'anno prossimo si torna al percorso classico singolo.

Aspettando Treviso Marathon

Lunedì pioveva.

Ma in fondo se hai un berretto, poco cambia. Se poi vai dietro a
Castelbrando, nelle colline che preludono ad Alpi che non mi ricordo più quali sono tra le "ma lì con gran pena le reca giù", rischi pure di trovarci la neve.

E così è stato, salendo verso
Praderadego la pioggia si è fatta sempre più solida e il terreno sempre più bianco fino a farmi avanzare su una coltre di alcuni centimetri.

Era da un po' che non correvo sulla neve (per inciso, un ottimo sistema per pulire le scarpe) e me la sono spassata, a parte i passaggi ripidi dove era meglio lasciare la poesia e pensare prosaicamente a portare a casa la pelle.

Treviso Marathon me la vedrò come al solito da dietro le quinte, non valeva la pena di starsene con le mani in mano ad aspettare.

Panoramica di Savassa

I rilievi che circondano Vittorio Veneto non sono colline, ma montagne a bassa quota. Ne riproducono fedelmente clima, asprezze e struttura del terreno. I sentieri sono tecnici, le salite ripide ed il clima, beh, il clima si imbizzarrisce più velocemente che non nelle paciose pianure sottostanti.

Ieri una pioggerellina sottile ci ha accompaganti per tutti i 20km della "lunga". A Savassa quasi tutti tendono, rispetto al consueto chilometraggio, a spostarsi sulla misura immediatamente successiva nel menù (di solito circa 6 12 e 20km) perché lo sforzo è ampiamente ripagato dalla soddifazione, che nella moneta corrente dei corridori sono panorami e/o autostima indotta dal superamento delle difficoltà.

La pioggerellina, oltre a mantenere la temperatura piacevolmente fresca, ha anche tenuto lontana la massa dei partenti anticipati, una piaga presente in tutte le manifestazioni domenicali, che a Savassa sono particolarmente fastidiosi per via dei sentieri stretti, presto intasati da gente partita alle sette, sei o sera prima.

Un inconveniente che non mi è mai capitato quand'ero un principiante

Da quando mi si è rotto il cinturino del timex, qualche mese fa, non porto l'orologio al polso. Vivo e corro, incoscientemente, senza cronometro, oppure con il contatempo menomato in tasca. Lo estraggo ogni tanto, per un aggiornamento.

La scorsa domenica però volevo fare delle variazioni a tempo e quindi ho riesumato un sinuoso nike, facendogli inserire una batteria non esaurita, e sono partito.

Dopo circa un'ora la piacevolezza della mia uscita è stata interrotta da un dolore fastidioso da sfregamento al polso sinistro.

Ho spostato l'orologio sul destro, ma mi sentivo sbilanciato, e così l'ho allacciato sopra la manica della maglia risolvendo brillantemente il problema, almeno per le corse invernali.

Il buon Gianni Agnelli forse aveva visto lungo, a suo tempo.

Nuova società e nuova gara in provincia di Treviso

Erik mi segnala due cose di cui non ero a conoscenza. Una nuova società (1) che si chiama Running Team, la quale organizza una gara di trail (2) di 34 e 59km denominata Gran Raid delle Prealpi Trevigiane.

Non ne so molto di più, se non che conosco alcune delle persone che fanno parte del comitato fondatore, e si tratta di brava gente. E il percorso è splendido.

Libro: "Resisto Dunque Sono" di Pietro Trabucchi

Si dice che la corsa sia metafora della vita, anche il blog può essere metafora della vita (l'importante è che non ne sia surrogato, ma questo è altro discorso).

In ogni caso basta distrarsi un attimo ed ecco che passano oltre due mesi senza che nulla, di voluto dal protagonista, accada. Questo non significa che non accade nulla, ma che semplicemente si perde l'iniziativa. E quando perdi l'iniziativa, con una metafora bellica, hai già perso mezza battaglia.

Nel frattempo però ho letto vari libri, tra questi "Resisto Dunque Sono" di Pietro Trabucchi, già citato più volte su queste pagine e senz'altro uno degli autori preferiti dal sottoscritto.

Ero restìo a scriverne, perché immagino che chi sia appassionato di corsa di resistenza lo abbia già letto e quindi non aggiungo nulla che non si sappia già. Ma può essere che a qualcuno sia sfuggito e quindi qualcosa dico.

Trabucchi parla della "resilienza", quella caratteristica psicologica che ti consente di mantenere l'attenzione sull'obiettivo, nonostante le difficoltà ed eventi negativi che si incontano sul cammino.

E questo non riguarda solo la corsa o le altre discipline di resistenza, riguarda la vita in genere. Gli stress legati al lavoro, la famiglia, le piccole e grandi sconfitte, anche le vittorie.

E un libro che parla della vita, in tono realistico, senza messaggi roboanti, ma con un quieto invito a farsi carico delle proprie miserie perché siamo gli unici che possiamo farlo. A dar la colpa agli altri o al destino non si fa molta strada.

Oltre a fornire, in maniera scientifica ma con tono divulgativo, una base di riflessione, cita esempi di chi chi ha saputo superare grandi difficoltà e dà anche strumenti per allenarla e nutrirla, 'sta benedetta resilienza.

Un libro, a mio avviso, utile a chiunque sappia leggere. Agli altri dovrebbe essere raccontato.