2011

Corsi e ricorsi

Il 13 ottobre 2004 iniziava questo sito, raccolta di impressioni sulla corsa, a futura memoria.

Il futuro è arrivato più volte, e spesso ho tratto vantaggio dalle note passate.

L’estate appena trascorsa è stata piagata da infortuni di varie specie e dimensioni, fisici e mentali (ma saranno poi tanto diversi?).

Non ho mai smesso di pensare alla corsa e cercare di capire, pur avendo corso meno e scrittone ancora meno.

Poi ho pensato che dovrei correre senza pensare ed è cominciata ad andare molto meglio.

Libro:"PRE" di Tom Jordan

sottotitolo "The Story of America's Greatest Running Legend, Steve Prefontaine"

In queste pagine si è parlato spesso di Steve Prefontaine, scomparso a soli 24 anni, nel 1975, ma che ha lasciato un’eredità pesante nel mezzofondo Statunitense.

Questo libro è del 1977, con una seconda edizione rinfrescta nel 1997, e racconta con la praticità dell’epoca del periodo di vità più significativo dal punto di vista atletico, tra il 1969 e, appunto, il 1975.

Gare e allenamenti sono ricche dei dettagli numerici che appassioneranno gli statistici, e c’è qualche scorcio nel carattere complesso del personaggio, purtroppo non quanto la sensibilità del nuovo secolo ci ha abituato ad aspettarsi.

Nel complesso non un capolavoro, ma un solido mattoncino nella conoscenza della storia del mezzofondo mondiale, cui Prefontaine ha dato un contributo generoso, sia in termini di prestazioni che di personalità.

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aggiungo quì sotto una storia che ho scritto nel 2005 (potrei mettere il link ma preferisco che sia anche quì ) e che al tempo avevo capito solo emozionalmente e non concettualmente.

Negli ultimi sei anni sono stati fatti passi avanti notevoli (almeno da me, gli altri magari c’erano già arrivati) nel comprendere quelli che sono i limiti della prestazione, molto più mentali di quanto non si ritenesse nel passato.

Parla di Don Kardong, che ha corso assieme a Prefontaine:

Confini Sfumati

Don Kardong, arrivato alla soglia dei quarant'anni, ebbe un ritorno di fiamma, agonistica.

La fiamma l'aveva già vista da vicino, sfiorando il podio olimpico di maratona nel 1976, e poi aveva continuato a correre per proprio piacere, senza quella dedizione che l'attività agonistica richiede.

La lusinga di qualche successo tra i master risvegliò lo spirito indomito che lo contraddistingueva e, tra le altre cose, si recò in laboratorio per una serie di test sulle sue condizioni attuali.

Il paragone con l'olimpionico di dodici anni prima fu piuttosto traumatico, tutti gli indici erano peggiorati: 5 chili in più , percentuale di grasso da 5,7 a 14, massimo consumo di ossigeno da 77 a 63, e così via, di tristezza in tristezza.

Don ricordava che, quando gareggiava, il massimo consumo di ossigeno era un dato da tutti aspettato, come una specie di sentenza su chi sarebbe riuscito a battere chi. E nei primi anni settanta Steve Prefontaine era sempre quello che aveva il valore più elevato.

Esaminati i dati del prossimo quarantenne il medico, però, si stupì di una prestazione che andava contro a tutti gli altri risultati: sul treadmill aveva tenuto duro ben più di quanto ci si potesse aspettare dalle altre evidenze sperimentali.

Don spiegò che, anni prima, la volta in cui venne battuto con più difficoltà da Steve Prefontaine, vide quest'ultimo arrivare stremato come alla fine di quel test sul treadmill, in cui Prefontaine aveva corso 8'30" prima di crollare. Memore di questo strinse i denti, e quant'altro stringibile, per arrivare a 8'45" sul medesimo test. "Almeno una volta in vita mia sono riuscito a battere Prefontaine".

I limiti, se esistono, restano un mistero curioso.

16.04.05

Libro: "Again To Carthage" di John L. Parker

Seguito di “Once A Runner” di cui si è già parlato in queste pagine in almeno un paio di occasioni, libro del 1978 che nel tempo ha assunto lo stato di cult tra i podisti.

Prima che venisse ristampato nel 2007 lo si trovava solo su Ebay o nella sezione usato di Amazon con prezzi da Collezionisti (maiuscola non a caso).

Viene quindi anche facile pensare che la pressione su Parker non sia stata lieve, con l’idea di scrivere qualcosa che fosse almeno all’altezza delle vicende del primo libro.

E infatti ci ha messo quasi trent’anni, purtroppo senza successo, a mio avviso.

Capisco che non puoi scrivere una copia dell’originale, ma è anche vero che è probabile che chi si avvicini a questo libro sia appassionato di podismo, per cui non puoi spendere le prime 190 pagine di un libro da 360 descrivendo con dovizia di particolari di pesca d’alto mare, e di quasi ogni singolo pasto che i protagonisti consumano, con contorno di dialoghi di cui spesso non si coglie il significato. Liquidando con un paio di righe le uscite di corsa, salvo un episodio di una gara “aziendale”.

Sono arrivato a pagina 190 con un crescendo d’ira, e solo la costanza del corridore di resistenza mi ha fatto tener duro per una seconda parte che ha qualche spunto interessante, ma non molto di più.

Onestamente un libro che alla fine si legge perché affezionati ad un paio di personaggi, quindi solo se si è letto il primo, e si può con tranquillità sfogliarne rapidamente le prime 200 pagine senza che si perda un granché nella storia.

Quindi “due stelline su cinque” oppure “si può perdere”, a seconda delle scale di valutazione che volete usare.



del dilemma tra vero cuoio e gomma

Un articolo (In Inglese) di uno scienziato dello sport che si avvicina al problema “scalzi o con le scarpe” con animo sereno e scientifico, conscio che non esistono ricette preconfezionate o bianchi e neri puliti.

C’è sempre qualche ombra o sbaffo di grigio

L’organismo umano è un sistema, cioè un insieme di componenti che lavorano assieme e si influenzano a vicenda. Cambiarne uno ha effetti su tutto il sistema in modi che non sono prevedibili in maniera certa e assoluta.

Mareno di Piave, 12ma passeggiata alla scoperta del territorio

E siccome è alla scoperta del territorio ogni anno cercano di cambiare percorso, e ogni anno mi stupiscono, perché ci sono nato e cresciuto a Mareno di Piave, e ogni volta trovano angoli di campagna che non ricordo di aver mai visto.

Mi scuso con il paese e plaudo agli organizzatori.

Questa è una manifestazione un po’ diversa dalle solite, i tempi sono più rilassati, si parte qualche minuto dopo, perché c’è sempre la ressa di chi si iscrive all’ultimo, e anche i primi non la fanno alla morte ma se la godono, fermandosi ai ristori e a qualche bivio in cui non sono sicuri di dove andare. Nonostante la certosina segnalazione del percorso in un paio di punti il dubbio c’era in effetti.

Comunque mancanze veniali per una corsa con un piacevole percorso, ideale per un periodo in cui comunque non si potrebbe aspirare a tempi d’eccellenza.

Libro: "Once A Runner" di John L. Parker (REPLICA)

Ho interrotto il più lungo periodo di astinenza da libri che io ricordi riprendendo in mano “Once A Runner” (e rileggendo anche la recensione che avevo scritto la prima volta, stupendomi di aver saputo scrivere cose del genere. Come spesso mi accade quando ripasso su cose che ho prodotto in passato. Ma questa è un’altra storia, che riporta ad uno dei motivi per cui scrivo: per connettermi ad un me stesso di un’altra dimensione temporale).

Tornando al libro, ben più meritevole di me, ne confermo senz’altro la sostanza, con nuove sfumature che ho trovato (aggiungendo spessore al già grande numero di pagine con risvolti, testimoni di passaggi meritevoli di essere riscoperti e ricordati).

Aggiungo una citazione, perché mi ha colpito ancora di più della prima volta.

Parla del “segreto” della corsa.

Quenton Cassidy, protagonista della storia, è ad una festa di persone normali che gli pongono le consuete domande che ogni podista si è sentito rivolgere innumerevoli volte:

“(...) volevano conoscere Il Segreto. E nessuno di loro era preparato, veramente preparato, a capire che non aveva tanto a che fare con la chimica o scaltri trucchi mentali, quanto con quel più superficiale e qualche volta angosciante processo del rimuovere, molecola per molecola, la dura gomma che componeva la suola delle sue scarpe da allenamento”.

Grande Libro.

Il punto della situazione

Il punto più importante è, senz’altro, la proiezione a terra del baricentro.

Per stare in piedi deve cadere entro la zona che i piedi tracciano a terra, tutti ne sono più o meno consapevoli e la cosa è data per scontata.

Al mondo però di statico c’è sempre molto poco. In termini dinamici le cose cambiano un po’, per stare in piedi sempre lì deve cadere, il baricentro. Ma, importante, nel momento in cui lo spostiamo in avanti o indietro abbiamo un effetto caduta (in avanti) o seduta (indietro) che può essere sfruttato a nostro favore.

Siccome la proiezione a terra è difficile da vedere, e ci serve un riferimento pratico e di facile localizzazione, fissiamolo nell’ombelico. Proviamo a spostarlo mentre corriamo un po’ avanti rispetto al solito, e vediamo che succede. Si può provare anche indietro, sempre per vedere l’effetto che fa.

Non dico altro, le parole hanno poca presa su aspetti pratici come questo.

Altro punto riguarda il fatto che questa settimana si conclude il ciclo di trasmissioni intitolato “ai nastri di partenza”, andato in onda su Radio Conegliano da metà marzo, in cui si è parlato di corsa e dintorni e in cui ho fatto l’ospite tecnico.

L’ho fatto perché di corsa parlo volentieri a chi voglia ascoltare, ma ancora di più perché la radio impone ritmi e modi che mi sono estranei. Non ho grossi problemi a parlare in pubblico, perché posso valutarne reazione e gestirmi i tempi. In radio hai sezioni da 8/10 minuti in cui parli non si sa a chi, e se ti impaperi devi andare avanti comunque. Inoltre bisogna essere molto più bravi per dire una cosa in due minuti, che senza limiti di tempo.

Di incertezze e prestazioni inferiori alle, perlomeno mie, aspettative, ne ho prodotte più o meno ogni puntata. Ma ho fatto esercizio di ristrutturazione cognitiva (leggete sull’argomento
“Resisto Dunque Sono” di Pietro Trabucchi, se non lo conoscete, conoscetelo. Leggete qualsiasi cosa abbia scritto Pietro, foss’anche la lista della spesa. Di sicuro c’è qualcosa da imparare) dicendomi che l’importante non era tanto quello che è successo ma la mia reazione all’evento e quello che potevo imparare dall’esperienza.

Non avessi fatto questo sarei a terra dondolante in posizione fetale, rimuginando sulle figuracce che ho fatto. Di queste mi scuso, ma ho cercato di non ripeterle e di rendere un servizio migliore agli ascoltatori la volta successiva. Se non ci sono riuscito mi scuso ancora, ma oltre certi limiti non dipende da me, l’ascoltatore deve riuscire a tirar fuori qualcosa di intelleggibile da quello che ho balbettato nei miei otto minuti della rubrica “punto della situazione”.

Non mi sto giustificando, è solo per far passare il concetto che l’unico modo per andare avanti in modo più o meno sereno è prendersi la responsabilità di quello che ci succede, perché se la deleghiamo ad altri saremo sempre in balìa di quello che fanno loro.

Marcia dei Laghetti di Savassa - Vittorio Veneto TV

Una rapida scorsa all’archivio mi ha ricordato che l’anno scorso non ho partecipato a questa manifestazione, senza dirmi però perché, né mi vengono in mente giustificazioni plausibili, visto che è tra le mie preferite del calendario.

Fatta la salitona iniziale si procede per boschi e valli principalmente scendendo. Quest’anno, complice un inverno passato per lo più in pianura, ho fatto la 12, che manca dei pezzi più godibili, che sono nella 20km, ma è comunque un divertimento che istruisce. Insegna a muoversi nei terreni più vari, ed immancabilmente mi ricorda di una gioventù sconsiderata in cui non amavo quei luoghi.

sarà

Per chi abbia confidenza con l’Inglese mi permetto di rinviare all’audio di una intervista ad Alberto Salazar.

Sarà che quando cominciavo a correre Salazar era all’apice della carriera. Sarà che fu una breve carriera, e i motivi della brevità mi hanno sempre affascinato (e vengono in parte spiegati nell’intervista*). Sarà che Salazar adesso è un apprezzato allenatore che cerca di non far ripetere i suoi errori agli atleti che allena. Sarà che è spigliato e piacevole da ascoltare.

Insomma, val la pena.

In una riflessione a parte, ma comunque collegata, ho sempre constatato che le parole che popolano queste pagine sono in genere proporzionali, sia in termini di qualità che di quantitià, ai chilometri che corro.

In questo periodo sembrerebbe che non corra tanto, quindi, e in effetti non sto facendo molto di più di una serie di uscite regolari tra la mezz’ora e l’ora e mezza. Nessuna gara in vista a breve. Giusto giusto la quiete della passeggiata. E non c’è nulla di male in tutto ciò, solo che non mi fornisce molto materiale per racconti degni di condivisione.

Non aiuta poi che con Piero Faganello si allena il gruppo amatori della Silca Ultralite, e quindi un paio di volte la settimana corro in gruppo e sfogo lì molte necessità di espressione legate alla corsa.

Sono comunque periodi di transizione importanti, non si può sempre caricare, e viceversa. La fortuna del praticare la corsa è che ha numerose modalità di espressione e si adatta flessibilmente alle esigenze del podista, che voglia massacrarsi di ripetute e medi o corricchiare godendosi il panorama. E c’è un tempo per entrambi.

Il fine settimana sarà dedicato alla Treviso Marathon, visto che sono uno dei duemila volontari. Inboccallupo ai maratoneti.

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* ha caricato, caricato, caricato. Le sue settimane di recupero erano un paio, da 100km, e poi sotto di nuovo a 170 e più. Ricordo anche
il libro Duel In The Sun, di cui ho già parlato in queste pagine, che approfondisce la questione. Quella gara fu il simbolo del gettare cuore e organi tutti oltre l’ostacolo.

Visti da fuori

Un’amica Americana, Sarah Lavender Smith, scrittrice e valente podista, mi ha chiesto alcune informazioni riguardo al Trail Running in Italia.

Sarah scrive di viaggi e corsa, e un articolo sull’Italia non poteva mancare . E’ appena stato pubblicato, con il titolo
Northern Italy: Races And Places To Run And Hike, Dolce-vita Style.

Mi sembra che possa essere utile come punto di partenza, ed è curioso leggere il suo punto di vista sulle sue esperienze in Italia. Mi rendo anche conto che nell’”intervista” ho lasciato fuori tonnellate di gare e posti interessanti.

D’altra parte ai ritmi di crescita attuali del Trail Running in Italia, credo che ci vorrebbe un libro intero, spero sia uno stimolo ed i link consentano a chi sia interessato di approfondire a dovere.


25ma Marcia Dei Tre Mulini - Vazzola TV

Che io, affettuosamente, chiamo anche “la cinque mulini meno due”, è sempre superbamente organizzata con l’aiuto degli Alpini, forza della natura che non si tira mai indietro, ci sia da smuovere macerie di un disastro o versare the caldo per degli scalmanati che decidano di correre una domenica mattina di inizio gennaio.

Solo per il fatto che ci sono loro uno ci pensa due volte prima di abbandonare la sfida e rimanere sottocoperta. Il clima infatti è in genere una delle variabili meno invitanti della giornata. Oggi la temperatura era buona per il periodo e l’umidità/foschia era quasi romantica nel dipingere un paesaggio vagamente sognante (inserire imprecazione a caso per i portatori di occhiali, che in quanto a paesaggio alterato hanno avuto di che sperimentare).

Il fatto poi che parta a 2,5 chilometri da casa e mi permetta di evitare di muovere la macchina dal garage aggiunge al fascino della manifestazione in una maniera che non riesco neanche a descrivere.

In definitiva una bella giornata. Il percorso completamente pianeggiante si snoda per la gran parte su asfalto, con vista sui vigneti, molti in via di rifacimento, con brevi tratti di sterrato e qualche passaggio erboso col giusto grado di fango (questo lo dico io, gli Americani direbbero che il vostro chilometraggio potrebbe variare, sull’argomento).

Per restare in tema di corsa è anche venuto alla luce il figlio di mio cognato, che forse centra poco quì, ma han deciso di chiamarlo Forrest, e per buona parte della sua infanzia è probabile che verrà incitato al grido di “Corri Forrest! Corri!”. Noi lo facciamo già.