Effetti Collaterali
Te ne esci dalla porta con la corteccia cerebrale tutta raggrinzita e, dopo una quarantina di minuti, hai il discorso, la bozza del progetto, il messaggio, belli svolti e senza quasi più ricci.
Poi sì, endorfine, cardiocircolazione, tono muscolare, tutto quello che volete.
E' ppesante la bbarca inglese
C'è però fatica, passione, e un po' di follia.
Tutte cose che possono aiutare.
E poi, diciamocelo, è o non è una delle più grandi pagine di cronaca sportiva?
Finesettimana semialternativo
Venerdì c'era Solighetto, amena località collinare il cui percorso, in un fine settimana umido può essere particolarmente fangoso.
Ma non è neanche questo, un paio di fastidi qua e là hanno suggerito di ripiegare sul pacifico Monticano, sinuoso fiume il cui argine rappacifica con il mondo.
E così è stato per un'ora e mezza tranquilla.
Domenica invece ci sarebbe stata Fossalta ma, di nuovo, si è optato per una passeggiata sul Montello.
Oggi, a differenza del fine settimana, non vedo l'ora di farmi una corsa. Il riposo è arma potente, da usare con giudizio.
Corsa di S.Nicolò - Pianzano (TV)
Quando ero bambino io non c'erano ancora i cellulari e quindi Babbo non passava a portare le Christmas card. Girava, credo, solo nelle città principali con le sue renne.
Noi invece si faceva un gran lavoro di preparazione per rifocillare l'asino che trasportava San Nicolò, intorno al 6 dicembre, e poi era tutta una tirata fino alla befana per poter vedere qualche altro regalo, in genere dociumi e generi di conforto alimentare.
Va detto però che si trattava comunque un signore estremamente generoso, e non ho ricordi di delusioni, dopo essermi svegliato prima dell'alba, nello scoprire cosa avesse sostituito il fieno, vino e pane che avevo lasciato la sera prima appena fuori della porta.
Non sono molto in contatto con il bambino che è in me in questi giorni e quindi ho perso di vista anche le attività di San Nicolò, cui era intitolata la corsa odierna, molto ben organizzata.
Basti dire che prima dei ristori c'era un cartello tipo quelli in autostrada che indicava la distanza dal successivo.
E un plauso anche alle intenzioni, al ristoro finale infatti c'era addirittura il pollo, cotto. Plauso alle intenzioni, dicevo, perché i risultati non sono stati così entusiasmanti. Immaginate di entrare attraverso un pertugio in una grande stanza piena, ma piena, di persone sudate, come dopo una corsa, e a questo aggiungete il caratteristico odore del pollo in cottura. Il tutto alle dieci di una domenica mattina. Reso l'idea?
Questo comunque non inficia, come dicevo, la buona organizzazione che ha sopportato l'assalto di un numero elevato di partecipanti.
Non so se è una mia impressione ma quest'anno sembra ci siano molte più persone la domenica.
Per il resto percorso abbastanza piatto, asfaltato e rettilineo, ma con delle escursioni sterrate, campestri e nel cortile di qualche casa. Siamo passati anche di fronte alla chiesa di San Biagio, una minusola costruzione che risale a circa 600 anni fa, con degli affreschi più o meno della stessa età. Pare sia una rarità vederla aperta perché è proprietà privata. Era aperta. Ci siamo fermati, quei 30 secondi non ci hanno di sicuro cambiato la giornata in peggio, anzi. La signora all'interno però è parsa piuttosto sopresa e compiaciuta del nostro gesto.
E poi si è continuato, apprezzando saltuari cartelli artigianali di incoraggiamento: un paffuto smiley giallo, sorridente e con il pollice alzato.
Piccole cose che messe tutte assieme fanno grande una manifestazione.
Ah, il premio finale: un pollo congelato che ci hanno passato dal retro di un camion frigorifero. Per quanto leggermente inquietante è di certo originale. Magari è stato San Nicolò.
Rinfrescata
L'ho testato anche con Explorer per Windows (perdìo se si vede male, le foto sono tutte scalettate e i font, anche) e sembra che tutto sia a posto. Dovrebbe funzionare anche con IE7
Se ci sono problemi gravi (tipo foto che invece di essere sulla testata sono in fondo, o testi tutti spostati) fatemelo sapere che così vedo se posso sistemare.
I Misteri Delle Scarpe
Il primo mistero grosso riguarda il fatto che si provano delle calzature in un confortevole negozio, si fanno le proprie valutazioni, e quando poi si mettono su le scarpe per la prima vera corsa può succedere, e spesso accade, che compaia un fastidio che al momento della prova non c'era. Un punto di pressione, un assetto sbilanciato, qualcosa che non si era presagito al momento della prova.
E non dipende dal pavimento del negozio. Mi è capitato anche per uno in cui ti mandano fuori sul marciapiede a provare.
Così, ogni volta si torna a casa con la trepidazione per il nuovo acquisto e l'apprensione per capire se poi è stato quello giusto.
Il secondo mistero riguarda i flussi di marchio.
Io vado a periodi, per 4/5, a volte anche più, paia di scarpe vivo felice con una marca e non riesco neanche a portare le altre. Improvvisamente non riesco più a correre con quelle scarpe.
All'inizio penso che sia il modello, ne provo un altro e vedo che le cose non cambiano.
Dopo qualche patema trovo una nuova scarpa che va e, improvvisamente, tutto torna a posto, con l'unica differenza che riesco a correre solo con le scarpe di quel marchio.
Non ho spiegazioni sensate di questi fenomeni, del resto, se ne avessi non avrei scelto il titolo "I Misteri Delle Scarpe"
Marcia di S. Caterina - Barbisano TV
Si perlustra il Collalto via stradine asfaltate secondarie, sterrati, sentieri. Il percorso è gradevolmente mosso, i colori quelli classici della stagione, e i tratti nel bosco sono numerosi. Quest'anno la temperatura mite lo ha reso ancora più piacevole.
Organizzazione buona, ben tre ristori sulla 12km, anche se i primi della 19km probabilmente avranno qualcosa da ridire sugli ultimi chilometri assieme a chi partecipava alle due gare più brevi, con le ovvie difficoltà di avanzamento.
Corsa dello sport - Mosnigo (TV)
In ogni caso ci si trova sempre circondati da podisti, con, addirittura, uno stop forzato in coincidenza di un passaggio particolarmente stretto.
In ogni caso direi che l'organizzazione ha retto professionalmente all'impatto della massa, avrei giusto giusto qualche dubbio sul misuramento dei chilometri ma in fondo non mi ricordo neanche il tempo finale per cui poco danno ne avrei eventualmente subìto.
Per il resto non si può non citare il sudore copiosamente versato a causa della temperatura elevata, in netto contrasto con le condizioni subartiche di una edizione precedente (gente che era stata fatta scendere a forza dalla macchina, e piedi insensibili per buona parte della gara).
Vabbé, mica si può sindacare sulla questione del clima impazzito, il riscaldamento globale, le mezze stagioni che non ci sono più....
Sono luoghi comuni, e ci dobbiamo vivere tutti.
il Professore mi ha detto
Quando era in ospedale mi disse con una punta di orgoglio: "il Professore mi ha detto che nonostante sia la più anziana (cosa peraltro non difficile alla sua età ndr) sono la più in forma della camerata".
A dispetto di questo non si è mai veramente ripresa dall'incidente. L'anca è stata sistemata alla meglio ma ha perso in mobilità e la nonna non si è più fidata a camminare da sola.
Ha inanellato comunque un discreto numero di giri in garage, con l'aiuto di un girello, negli ultimi tempi sempre più faticosamente.
La settimana scorsa ha dovuto subire un piccolo intervento ad una vena dove il sangue si era fermato. Purtroppo, non muovendosi tanto la circolazione è quella che è, e l'età non aiuta.
Ieri sera era tutta eccitata perché le avevano detto che oggi sarebbe ritornata finalmente a casa e mi ha colpito come la semplice percezione di un obiettivo l'avesse trasformata, nella postura e nello spirito, rispetto anche alle giornate spese a casa in attesa del mero scorrere del tempo. La mente è uno strumento potente.
Mi ha aggiornato quasi subito, con aria seria, sulle comunicazioni dei medici: "purtroppo ho una cattiva circolazione del sangue perché non faccio molto movimento. Il Professore mi ha detto che devo camminare tanto. Correre meglio di no, perché potrei danneggiare la gamba, ma camminare sì, e tanto."
un po' di storia
Non dico niente per non rovinare la sorpresa. Per quanto sia una gara del 1964 di cui si dovrebbe già conoscere il risultato.
A cosa pensi mentre corri?
L'argomento era la biografia, che lo aveva profondamente deluso, della grande tennista . Da fan dell'atleta infatti le sue aspettative sul libro erano alte.
Purtroppo, come spesso accade in questi casi, il risultato era stato inferiore alle attese. Con l'occasione di stroncare senza pietà il libro, dai passi citati direi a ragione, Wallace ha sfruttato il momento per una riflessione sulla domanda che è costantemente nelle menti e nei cuori dei tifosi e appassionati: "cosa pensa l'atleta X mentre fa quello che sa fare meglio di chiunque altro al mondo?".
Niente.
Questa è la conclusione a cui giunge il buon David.
E non è un niente vuoto causato dalla pratica che aliena da ogni pensiero ma è un niente pieno di consapevolezza del momento.
Per poter colpire una pallina che viaggia a velocità stratosferiche, o atterrare dopo un salto, o vincere una volata di quarantadue chilometri, il meglio che un atleta possa fare è agire. Il pensiero, specialmente quello introspettivo, filosofico e "dubitante", è meglio che stia fuori dall'anima e dal corpo nei momenti della gara.
La spiegazione scientifica (vedi Speciani e Trabucchi, più volte citati in queste pagine, per una trattazione comprensibile dell'argomento) è che il lavoro controllato della corteccia cerebrale, la parte più evoluta del nostro cervello, quella che ci diffferenzia dagli animali, quella che ci permette di imparare i gesti straordinari che compiamo, è lento e "meccanico".
Passato il periodo dell'apprendimento del gesto motorio è opportuno che la gestione del movimento avvenga a livello sottocorticale, a livello di strutture più primitive e meno introspettive. Gente che fa.
E' anche il motivo per cui sembra che nei duelli del far west vincesse chi partiva per secondo, reagendo meccanicamente ad uno stimolo, invece di agire coscientemente.
L'unico pensiero cosciente che l'atleta di vertice (ma anche quello di base, se vuole esprimersi al massimo relativo*) può permettersi e quello di lasciare agire il corpo ed uniformarsi a questo, nel senso di diventare un tutt'uno presente al momento in essere.
Poi, chiamatelo "essere nella zona", zen, meditazione, consapevolezza estrema, quello che volete, anzi no! non dovete neanche chiamarlo, altrimenti vuol dire che non ci siete.
*: ovvio che la corsa (nel nostro caso) si può anche sfruttare per altre attività, per esempio scrivere mentalmente questo messaggio o altri di cui le altre attività che la corsa consente saranno argomento.
Vittorio Veneto - Panoramica della Salute
Che poi non è neanche vero, perché il primo tratto di discesa è molto scorrevole e uno di quelli che percorro più volentieri da queste parti, quel misto veloce boscoso dove ti puoi lasciare andare piacevolmente senza forzare.
Fedele al nome il tratto alto in cresta è, o meglio, sarebbe panoramico, perché l'angusto sentiero e il vuoto a sinistra e destra spingono a miti consigli, facendo prevalere la sopravvivenza sulle gioie della vista da un luogo privilegiato.
Organizzazione
C'erano oltre 1700 (millesettecento) persone. Contando gli assenti si arriva a quasi 2000 (duemila).
Karno II
Dean Karnazes è da qualche parte nel New Jersey, in pantaloncini corti e maglietta, con un passeggino pieno di effetti personali, e sta chiedendo ai passanti indicazioni per raggiungere San Francisco.
gareggiare vs. partecipare
I gareggianti esprimono le istanze di raggiungimento dei propri limiti, preparazione adeguata e così via mentre i partecipanti, quelli che si difendono con "abbiamo una famiglia, un lavoro, una vita, un fisico che non regge gli allenamenti intensi", insorgono al grido di "vogliamo partecipare, divertirci e/o dare il nostro meglio relativo".
La mia opinione è che, fondamentalmente, sia necessario rilassarsi (che, per inciso, aiuta sia che si voglia semplicemente arrivare, sia che si desideri mettere a segno l'ennesimo personale) .
Ognuno si faccia i suoi conti in casa, si prepari e corra in base alle sue esigenze/aspettative.
Ho riportato alla luce la questione solo perché in questa discussione ho trovato una frase che mi è piaciuta, ed esprime sinteticamente ma efficacemente le posizioni di una delle due fazioni.
Con questo non desidero schierarmi, se non a favore di quelli che riescono ad esprimere concetti nel minor numero di parole possibile.
E' stata scritta da qualcuno che risponde al nickname di AKTrail:
"Couldn't really care myself - I'm a happy runner / hiker / crawler - whatever it takes. Any day I cross the finish line and don't get eaten by a bear is a good day."
Che in italiano suona più o meno come: "non me ne potrebbe fregare di meno - sono un felice corridore/camminatore/strisciatore - quello che serve. Ogni giorno che passo la linea del traguardo e non sono stato mangiato da un orso è un buon giorno"
Aaron
Anche lui partecipa, in genere si fa quella da 8/10km, e poi spende il resto del giorno giocando. Oppure non fa la gara e spende semplicemente il giorno giocando.
La scorsa settimana l'insegnante gli ha commissionato un tema dal titolo "un obiettivo difficile da raggiungere" e lui ha scritto della sua recente gara, la 12 ore di San Francisco, in cui si era posto l'obiettivo di arrivare a 50km.
Il tema è emozionante e fa riflettere, perché traspare un equilibrio che è molto difficile da raggiungere.
Il bambino infatti non è stato forzato a correre, lo fa perché gli piace, ma nello stesso tempo è consapevole del fatto che per raggiungere un obiettivo bisogna lavorare e soffrire.
I genitori lo aiutano in questo, infatti quando pensava di fermarsi a 20 miglia (visto che il suo record era 19, stabilito a 7 anni) gli hanno detto "perché invece di fermarti non fai una pausa a 20 e poi decidi in base a come ti senti". Ed infatti vedendo che non si sentiva poi così male ha deciso di proseguire fino ad almeno 26, vale a dire una maratona, e, giunto anche lì, i 5 giri che mancavano ai 50km non sono sembrati poi così impossibili.
Finita la gara, contento, era pronto a tornare a giocare con i suoi amici come niente fosse.
Dell'esperienza gli resterà il fatto che, impegnandosi, è riuscito a raggiungere un obiettivo e questo senz'altro lo aiuterà nel futuro.
Lo stesso obiettivo non lo definiva però come persona (del tipo "sono bravo perché ho corso 50km" ) e quindi se lo avesse mancato non sarebbe stata tutta questa tragedia.
Mi sembra una storia così diversa da quella di tanti bambini (forzati dai genitori) e adulti (forzati dai genitori?) che corrono perché devono dimostrare qualcosa o che sono qualcuno.
Si perdono il divertimento del durante e le opportunità di crescita del dopo.
Sono sicuro infatti che Aaron andrà alle gare come sempre, correndo in genere quella corta, e giocando per il resto del giorno. Mi minaccerà alla partenza, con il consueto mezzo sorriso, di farmi mangiare la sua polvere, e poi ci rivedremo dopo l'arrivo, discutendo del suo "autovelox" portatile con cui è in lotta per superare il suo record di velocità istantanea, oppure giocando a calcio, con il pallone che, regolarmente, finisce su qualche albero o in mezzo a siepi fittissime.
(1) in realtà partecipano anche a gare, ultramaratone. Per esempio nella recente Javelina 100 (=160,9 km) Wendell ha chiuso in 19h12'38" e Sarah in 25h38'52". Aaron giocava nella zona partenza/arrivo facendo il tifo quando passavano (si trattava di un giro da 15 miglia da ripetere più volte)
Wendell ha anche partecipato alla Barkley. Non ci sono gare più dure. Non temo di essere smentito.
Karno
New York è stata la più veloce in 3h00'30"
Aggiornamento del 09/11: sembra che abbia deciso di andare a casa a piedi, è partito ieri. Per chi non lo sapesse Dean abita in Marin County, che si trova a nord di San Francisco. Ha sempre detto che non gli piace guidare.
(1)* in realtà il lunedì è uscito per una corsa serale in libertà di 45 km, che è anche il motivo per cui non lo cito mai nelle note tecniche, o persone da cui trarre ispirazione. Lui dice che gli dicono che ha una buona biomeccanica
*si vede che sto leggendo David Foster Wallace?
Sproporzioni, Bar Sport e senso del colore
Ben oltre sei ore sul divano nel pomeriggio tra TV generalista(1) e maratona di New York.
Di quest'ultima probabilmente se ne saprà già più o meno tutto. Una cosa che non ho visto in giro è un riferimento ai colori "sociali" di Baldini. Sono solo io a ritenere che quel colore, tra il carne e il marrone chiaro, sia orribile?
Mi rendo conto sia poca cosa, ma rendiamoci conto che le aziende spendono milioni per promuovere i loro prodotti decantando sì gli aspetti tecnici mirabolanti, ma anche cercando di presentare un campionario esteticamente accattivante.
Tutto qua, non ho commenti tecnici. Tergat mi ha deluso, come quasi sempre, di Baldini si è visto solo il posteriore per pochi secondi, la vincitrice femminile mi ha emozionato, per motivi, anche quì, inspiegabili.
Ho visto anche vari tratti della gara di Lance Armstrong, chiusa di poco sotto le tre ore. Direi onesto, piuttosto regolare, un po' appesantito alla fine, ma niente da far gridare allo scandalo.
Però, però, leggo su MSNBC.com che dopo la gara ha dichiarato "senz'altro la prova fisica più dura che abbia mai fatto".
E mi chiedo quanti bar sport ribolliranno di discussioni tra pro podisti e pro ciclisti. I podisti con il sopracciglio alzato alla non-ve-l'avevo-sempre-detto-che-la-corsa-è-più-dura?
Quando in realtà è solo una questione di adattamento specifico. Per il resto è un confronto tra pere e mele.
Ma non sarebbe bar sport se non si discutesse di tali argomenti con dovizia di particolari.
(1) al di fuori di questioni snobistiche non ne voglio proprio parlare. Per quanto ci siano stati spezzoni di un campionato mondiale di biliardino, sport che mi ha sempre affascinato ma che ho praticato sempre con prestazioni piuttosto mediocri.
Restyling
Due parole sulla foto della testata, che riprende il sottoscritto in fase di riscaldamento per una gara che si è svolta nella quieta cittadina che risponde al nome di Pacifica, in riva all'omonimo oceano.
A detta dei locali la presenza del sole è stata una specie di evento in questo luogo dominato da nebbie perenni. L'immagine assume quindi anche un significato storico e documentale di rilievo.
A dirla tutta il design non è proprio quello che voglio, ma Internet Explorer non pareva gradire quello che piaceva a me e quindi sono sceso a compromessi, mentre lavoro nell'ombra per sistemare il problema.
Il Lago Morto
A dispetto del nome infelice del luogo, la circumnavigazione del lago morto, su sentiero tecnico che offre diversi gradi di difficoltà ed inclinazione, garantisce una rivivificazione che ha pochi eguali nel panorama podistico del nord della provincia di Treviso.
Che non è neanche vero perché ci sarebbe l'argine del Monticano, il Collalto, il Montello (*) e altri che adesso non mi vengono in mente.
Ma il Lago Morto ha quel fascino un po' malinconico delle terre in via di estinzione, con il sole che fa capolino nella valle solo nelle ore centrali della giornata, i pochi anziani rimasti a curare i vecchi borghi, l'autostrada che è in realtà un ponte inconsapevole della vita che scorre poche centinaia di metri sotto.
(*) colgo l'occasione per rinnovare gli anatemi nei confronti degli asfaltatori del Montello: che il bitume possa ammantare i vostri sogni quotidianamente, da quì all'eternità, e oltre.
L'ultra maratona - allenamento, alimentazione, aspetti mentali
Con il consueto stile divulgativo, che ti fa leggere anche le pagine dove si parla di biologia come fossero quelle di un romanzo, Luca affronta la questione ultramaratona. Sviscera la questione energetica, tecnica e mentale, sottolineandone la stretta connessione.
Direi molto bene, in particolare per il, mai pubblicizzato a sufficienza, legame tra corpo e mente, e viceversa. Ma anche il capitolo alimentazione è affascinante.
Ci sono anche dei contributi di altri autori: Trabucchi (imperdibile, come sempre), Massini (un po' frammentario), Massa (l'uomo fuori strada. Utili suggerimenti per chi intende lasciare l'asfalto), De Ponti (il triste capitolo sugli infortuni), e storie di alcuni atleti, tra cui il Mitico Deuoll, Gianluigi Zuccardi Merli, alla sei ore di Mareno di Piave.
Salgareda
Il tutto in attesa di un pomeriggio che poi si è rivelato ben diverso da quanto si potesse immaginare (leggi motoGP).
Eviterei ogni commento.
ChiWalking
ti ho sostenuto col ChiRunning, perché ritenevo, e continuo a farlo, che ci fossero delle idee interessanti.
Con questo ChiWalking invece mi pare si voglia solo cavalcare l'onda di un successo. Perdìo, farà anche bene, ma non puoi fare un intero libro dicendo ogni tre per due che camminare, se fatto con i crismi ChiWalking (r), è la miglior cosa che possa capitarci per cardiocircolazione, flessibilità, muscoli e quant'altro si possa mettere su un marciapiede a deambulare.
Sei un signor venditore. Ti mandassero in Alaska in gennaio con un cubo di ghiaccio torneresti a casa con la valigetta piena di ordini.
E, ripeto, il ChiRunning, ha qualcosa da dire, ma 'sta storia del camminare per oltre 200 pagine non l'ho proprio mandata giù, perché ci stava comodamente tutto in un articolo da 3/4mila parole.
E ti avrei detto bravo e pure sparso il verbo.
Ove la notizia fosse scivolata via senza essere vista
Segnalazione tratta da CNN e Sportsillustrated.
L'uomo di marketing e la variante migliore
Se l'avessi saputo, che c'era lei al Louvres, mica l'avrei chiesto di vedere il Nike Store.
E' proprio splendida, per quanto il Mercurio, con le cavigliette alate, non ci farebbe proprio una brutta figura quì. Ma era in una zona in cui non si potevano fare foto.
A chi fosse sfuggito
In questo momento non sono nella condizione psicologica di guardare la TV sul divano per 22 ore consecutive, lasciando stare i rotti che fa quasi 23.
A Scott però due righe gliele dedichiamo. Non è uomo di Marketing per cui il grosso della pubblicità gliela fa la comunità dei trail runner.
Per dire, si conosce più Dean Karnazes, "solo" perché arriva in fondo alla Badwater, del buon Jurek che l'ha vinta negli ultimi due anni.
Intendiamoci, a me Dean sta simpatico, ma agonisticamente non c'è paragone.
E sempre a chi fosse sfuggito, nella stessa Spartathlon, in 30h15'43", è arrivato 16mo, ma primo degli ultracinquantenni (!), il coriaceo Piemontese Livio Tretto, risorto dopo un periodo tribulato a causa di infortuni.
Livio è autore della frase memorabile, che quì riporto a futura memoria:
"Sì, è vero... forse... ma avrebbero dovuto spararmi nella schiena"
Siamo oltre l'ottantacinquesimo chilometro e una piccola discesa mi concede una pausa, alla fine di questa trovo Fulvio (Massini) che mi chiede se serve qualcosa: rispondo bruscamente "Si! Voglio arrivare alla fine".
Solo due piccolissimi chilometri mi separano dal traguardo, lassù; in alto "tra le nuvole" si intravedono le mura del borgo. Ai piedi della salita finale un bel gruppo di persone a tifare Italia e della musica a tutto volume mi danno la carica: aggredisco la salita e faccio almeno trecento metri a tutta ma poi il dolore lancinante mi riporta a ritmi più consoni alla situazione.
Vedo il cartello dell'ultimo chilometro e vicino immobile ad osservarmi un tizio mascherato da nostra signora morte con tanto di mantello nero, maschera e falce.
Sorpreso, dopo un instante di smarrimento mi avvicino alla sagoma e le sorrido. "Non è ancora arrivato il momento, mi dispiace...".
Forse un ubriaco avrebbe tagliato il traguardo in maniera più decorosa: vorrei chinarmi per baciare il tricolore steso sulla linea d'arrivo da tifoso ma decido di non rischiare e il bacio lo indirizzo con il palmo della mano.
Sul lettino del massaggiatore Giovanni mi confida che Massini negli ultimi chilometri pensava che non potessi farcela. Sì, è vero... forse... ma avrebbero dovuto spararmi nella schiena.
Tempo finale: sette ore e quarantadue minuti. Posizione: 27° generale (secondo degli italiani)."
"I miei 100km (2): il clone" di Livio Tretto, 8 maggio 2000"
Giro della piana sernagliese
E' un peccato perché è una gara ben organizzata con un percorso vario e scorrevole.
Mi sarebbe piaciuta comunque, ma siccome mi sentivo leggero e performante come la moto di Hayden ieri, e non c'erano Pedrosa in giro, mi è piaciuta ancora di più.
Il ponte tibetano (*)
Ho iniziato al campetto di calcio vicino casa con tre o quattro allunghi di corsa lenta su 40 metri. Di fare di più non se ne parlava. Voglio dire, ho speso degli inverni senza praticamente mai andare a piedi nudi, se si eccettua il breve tragitto camera bagno del primo mattino e prima di coricarsi. E in estate non è che andasse tanto meglio.
Comunque ho incrementato gradualmente e oggi riesco a fare una mezzoretta alternando corsa e cammino. Su asfalto ed erba non ho grossi problemi ma, fino ad oggi, nel mio giretto standard (che per il resto è l'ideale mix di terreni piacevoli) c'era un ostacolo quasi insuperabile, un pezzetto di strada sterrata, un centinaio di metri non di più, con ghiaia, molta ghiaia.
Migliaia di sassolini puntuti.
Un incubo.
L'ho sempre attraversata a tappe. Pochi barcollanti passi in apnea, pausa sull'erba a lato per il recupero, e la necessaria scorta di ossigeno, e via così fino alla fine.
Oggi ero pronto all'ennesima tortura quando, inspiegabilmente, i primi passi non sono stati affatto dolorosi. I sassi erano lì, ma li percepivo più che soffrirli, e così ho percorso tutti i cento metri andata e ritorno.
Ok, verso la fine del ritorno l'andatura era un po' meno dignitosa.
Resta comunque un piccolo passo per l'umanità, ma un grande passo per me.
Onestamente non ci pensavo neanche come obiettivo al momento, per quanto l'immagine, di trent'anni fa circa, del mio vicino che correva sull'allora strada sterrata di fronte a casa mia, come niente fosse, è stampata a fuoco tra le mie memorie di bambino.
(*) il titolo è riferito al film "Uomini duri" con Pozzetto e Montesano, in cui un ponte tibetano di corde, che Pozzetto non riesce a superare, è posto come metafora dei piccoli e grandi ostacoli che incontriamo nella vita.
Vesciche
Vesciche, dicevo, quello bolle fastidiose che compaiono a causa di frizioni e per le quali ci sono le teorie più varie, sulla scarpa, il calzino, il piede trattato con emollienti.
Ci riflettevo oggi, notando che da circa tre anni sto curando particolarmente la tecnica di corsa, e da circa tre anni non ho praticamente vesciche.
Non che prima ne fossi martoriato, ma ogni tanto la bolla malefica compariva, a dispetto di calzini supertecnici, piedi che potevano essere utilizzati come modelli per qualche pubblicità di crema idratante, e scarpe "giuste" (taglia, modello e quant'altro).
La teoria che ho quindi formulato oggi è che la vescica nasca, principalmente, da una azione di corsa non corretta.
Ero così preso dalla mie riflessioni che ho dato poco peso al fatto che, proprio oggi, non stessi correndo particolarmente bene.
Me ne rendevo conto, ma ero così soddisfatto delle mie conclusioni che ho registrato la cosa senza apportare correzioni.
E poco prima di arrivare a casa un puntino al centro dell'avampiede, che dapprima avevo attribuito ad un detrito insinuatosi sotto pelle, si è trasformato in una bollicina rossastra e con un po' di liquido. Proprio lei, una vescichetta.
E la causa non può essere attribuita a scarpe o calzini perché ero scalzo. Però sentivo chiaramente che i piedi scivolavano leggermente in fase di spinta, cosa che nelle precedenti sedute non facevano, permettendomi di muovermi su erba e asfalto senza traumi.
Ennesimo promemoria che anche una grande teoria, se non viene messa in pratica, non va molto lontano.
P.S.: a mente fredda mi rendo conto che l'assenza di vesciche non implica necessariamente che corriate bene. La teoria resta valida per il contrario, almeno fino al prossimo aggiornamento.
Orsago, Marcia dei Castelli
Sono i giorni in cui ti rendi conto del perché l'Italia sia famosa nel mondo e molti sognino di trasferircisi.
PAIN di Dan Middleman
In questo romanzo Middelman traccia un ritratto di mezzofondisti quasi d'elite, gente ai vertici delle classifiche universitarie e in lotta per una qualificazione ai trials olimpici.
Con contorno di feste, birra, e una storia d'amore sofferta.
Ne escono delle riflessioni piuttosto amare sulla vita degli atleti da parte di un autore che ha partecipato ai 10.000 olimpici nel 1996.
Un libro altamente avvincente e deprimente.
Lago morto, Vittorio Veneto
Dopo alcune settimane di passione per un disturbo ad un tendine, una corsa quasi senza fastidi viene accolta come una benedizione.
HARRIERS - The making of a championship cross country team
La storia, raccontata da due dei protagonisti, di un paio di stagioni della squadra di corsa campestre di una scuola superiore dell'Ohio.
Avvincente come un romanzo, bella descrizione dei personaggi e delle competizioni. Mi ha riportato a situazioni vissute in prima persona come atleta e come allenatore.
Era un po' che cercavo un libro che parlasse di corsa senza essere un manuale tecnico. Pare ce ne siano, là fuori, e questo è senz'altro uno di quelli buoni.
geni del marketing
E allora,
solo un genio, oppure un demente, può pensare di pubblicizzare un paio di scarpe elogiando il fatto che è meglio andare scalzi.
Siccome le scarpe in questione si vendono come il pane è lecito accreditare il suddetto della prima definizione.
grazie a barefoot ted per la segnalazione.
Aggiornamento:
siccome alla fine poi le ho comprate, le free, mi vien da dire che i personaggi all'ufficio marketing della Nike sono ancora più bravi di quello che pensassi.
Perché se l'avampiede gode di una libertà e flessibilità poche volte provate dentro una calzatura, il tallone è abbastanza sollevato da terra, in posizione che poco ha a che vedere con il piede nudo.
Di certo la libertà è superiore ad una scarpa media, ed è un prodotto ovviamente destinato a finire nella collezione di chi possiede scarpe, non certo di chi viaggia felice a piedi nudi.
Ma, forse, se si vuole iniziare una rivoluzione, è meglio partire da qualcosa di simile a quello che già esiste ed ha successo.
convocazioni
Dovete fare le convocazioni per la gara dei 3200m, avete tre atleti di valore simile e solo due posti a disposizione.
L'allenatore di questa storia comunicò ai tre atleti che la scelta sarebbe stata fatta sulla base dei risultati di due gare.
Ecco come è andata:
gara 1
B 10.04
C 10.07
A 10.15
gara 2
A 10.07 (per un soffio)
C 10.07
B 10.18
Siccome si è trattato in sostanza di un pareggio l'allenatore decise di convocare A e B sulla base dei personali che erano:
A 10.01
B 10.04
C 10.07
In effetti non era una situazione facile.
Certo che se io fossi stato C non sarei stato felice della scelta. Avevo dimostrato di poter correre in entrambe le gare a livello del mio personale, facendo quindi ritenere che avrei potuto correrne una terza sullo stesso livello.
Seconda cosa il criterio di convocazione dovrebbe essere chiaro ed esente da interpretazioni. Se viene detto che si decide in base alle due gare si decide in base a quello e non, improvvisamente, sulla base di altro criterio.
Va detto che io sono a favore del potere assoluto dell'allenatore, il quale non dovrebbe essere tenuto ad effettuare trials per le convocazioni. La sua conoscenza degli atleti dovrebbe essere tale da consentirgli di prevedere come questi si comporteranno, mediamente, in una gara.
E' anche vero che magari le convocazioni sono fatte da un Commissario Tecnico che non vede quotidianamente gli atleti.
Alla fine, però, una volta che si dichiara un criterio di convocazione diverso dal "decido io" ci si dovrebbe attenere.
atteggiamenti positivi
Sembra che nel passato fossero piuttosto piccoli e vivessero sulla terra ferma.
Per esigenze di difesa pare che, nel corso dell'evoluzione, si siano spostati in acqua e abbiano acquisito la ragguardevole stazza che li caratterizza.
A dispetto della nuova situazione, però, hanno mantenuto l'atteggiamento apprensivo e piuttosto incline alla violenza che li caratterizzava quando erano delle prede appetibili e di facile conquista.
Questo, oltre a mantenerli piuttosto in basso nella classifica dei potenziali animali da compagnia, li ha portati più volte sulle pagine delle cronache per assalti ad umani che, per scelta o distrazione, hanno invaso il loro spazio sociale.
Mi ha colpito la storia di un tizio che è riuscito ad evadere dalle attenzioni di un ippopotamo trascinandosi in qualche modo a riva dopo essere stato sbatacchiato ben bene.
Al momento del check up su come era andata ha controllato il braccio sinistro, che non sentiva più, ed in effetti mancava all'appello. "Oh, oh, non sento neanche il destro" e si è girato con esitazione per scoprire con sollievo che era ancora li. Ha provato a muovere le dita, che hanno reagito allo stimolo, e si è detto "fiù, meno male, ho perso solo un braccio".
Dal punto di vista del mezzofondo e del fondo un atteggiamento come quello dell'umano citato senz'altro aiuta meglio a superare i momenti difficili (che, immancabilmente, si presentano) rispetto a quello dell'ippopotamo rimasto fermo su schemi mentali che non rispecchiano la realtà dei fatti.
Per quanto riguarda invece la velocità non ci si può esimere dal segnalare che un ippopotamo medio può raggiungere anche velocità vicine ai 50 km/h su brevi distanze.
Redwood Park, Oakland, 27 agosto
Un test cercato, e molto interessante, per vedere come cambi l'atteggiamento mentale rispetto alla tipica gara contro se stessi nelle posizioni di retrovia.
Perché, sì, a volte ti metti a gareggiare con i vicini, ma, ammettiamolo, tra l'arrivare 398mo o 399mo non è che ti cambi il mondo, tra secondo e terzo, neanche, però, dai, un po' sì.
Nelle gare normali, a fine gruppo, giusto giusto ti preoccupi se quelli appena davanti utilizzeranno gli ultimi bicchieri puliti rimasti al ristoro. Di più non riesco ad incattivirmi.
Tornando alla competizione,
col primo involatosi dopo un paio di chilometri, era il terzo concorrente a preoccuparmi, una ragazza bionda e slanciata.
Quei cento metri circa di vantaggio, che mantenevo non senza un certo sforzo, erano piuttosto elastici. La tenace creatura, non priva di grazia, era come un piccolo carroarmatino, velocità costante, guadagnava in salita, perdeva in pianura e discesa. Dopo aver speso un po' di tempo a studiarla, da un punto di vista agonistico, sia chiaro, ho cercato di guadagnare il più possibile in modo da non fornire un bersaglio motivante. La mia maglietta verde marcio (riferito solo al nome del colore) mi ha senz'altro facilitato rispetto al suo arancione squillante ben visibile.
La svolta della competizione è avvenuta poco prima della parte centrale della gara. Un "buontempone" aveva pensato bene di asportare le segnalazioni su quella parte del percorso. Il primo concorrente, che ormai immaginavo nei pressi delle abbondati libagioni all'arrivo, è ricomparso alla mia vista correndomi incontro e dicendomi che probabilmente avevamo sbagliato strada.
Allora:
non mi alleno a sufficienza, e non sono di certo Steve Ovett, per quanto una certa somiglianza mi dicevano ci fosse, però avevo fatto i compiti: studiato la mappa del percorso, l'andamento del dislivello, il nome dei sentieri e quanto dovevamo stare in ognuno e se le svolte erano a destra o sinistra.
Fosse stato una gara orale invece che podistica li avrei stracciati tutti, anche le gazzelle delle distanza superiori.
Attribuisco quello che è successo in seguito alla mia fibra morale superiore, più che ad un momento di mancanza di lucidità: ho rassicurato il primo che eravamo sulla retta via.
Devo essere sembrato convincente perché si è girato, e nel giro di pochi metri, è di nuovo scomparso leggero e, apparentemente, senza faticare. Io ho continuato a salire iperventilando rumorosamente.
La mia avversaria del giorno, intanto, non compariva più, inquietante ed inesorabile macchia arancione tra tronchi e cespugli. Scoprirò in seguito che ha avuto delle indecisioni su un paio di bivi ed è stata salvata da un'altra "studiosa" che viaggiava poco dietro.
A meri fini motivazionali mi ero però convinto che la mia tattica di forzare l'andatura per portarsi fuori vista stava dando frutti, e così ho scollinato al km 5,5 consapevole che adesso eravamo nel mio terreno. Da quel momento in poi è stata, letteralmente, tutta discesa fino all'arrivo, dove sono giunto un po' spaesato: cibo e bevande erano a malapena intaccati, in giro non c'era quasi nessuno, il parcheggio era ancora pieno.
Non sono scene cui sono abituato.
Il primo mi ha poi ringraziato per averlo salvato. Quando è arrivata la mia rivale, che ha mantenuto la terza posizione, non sono stato degnato di uno sguardo. Mi è parso evidente come la fiera competizione fosse un film di cui ero stato l'unico spettatore.
Ma che emozione.
Ok, adesso basta per un po' con le prove massimali. La prossima sarà probabilmente la visita medica. Quella dozzina di minuti sulla cyclette è decisamente la prova più dura dell'anno. L'unica per la quale mi prepari con una certa serietà.
Non provatelo a casa
E' sempre corsa, più o meno.
Credo si ispiri a questa cosa qua: www.parkour.com/
Pipe Dreams: a surfer's journey di Kelly Slater
La differenza rispetto agli altri, a volte con più talento, o semplicemente più bravi, è la dedizione, la capacità di gestire la gara, e l'agonismo (guai a perdere, e la colpa, nell'eventualità, era sempre sua, mai di terzi incomodi).
Nel surf i punteggi vengono attribuiti dai giudici e si procede per eliminatorie dirette. Tra i suoi punti di forza va senz'altro citata la lettura nei minimi dettagli (stato delle onde, avversari, valutazioni dei giudici, regolamento) del quadro agonistico in cui operava.
Quello che mi ha in qualche modo sorpreso di più è stato leggere che nel 1996 (dopo aver vinto 3 titoli mondiali, ed in corsa per il quarto), per una serie di coincidenze "ho iniziato a rendermi conto che non potevo vivere di Doritos e Oreo e aspettarmi di essere in salute.(...) Mi resi conto che avrei potuto prevenire molte malattie se solo mi fossi nutrito correttamente. Così ho cambiato la mia dieta e notato immediatamente miglioramenti nella pelle e nel livello di energia"
Un infanzia e 3 titoli mondiali a patatine e biscotti. Sì, sì, poi è migliorato, ma intanto.
Big Basin, Boulder Creek
E' anche la gara di un altro record, quella in cui tendo ad inciampare di più. Anche quest'anno un tentativo di distorsione e due o tre "sbilanciamenti". E sempre pochi secondi dopo aver deciso di rilassarmi e godermi il percorso, peraltro splendido, su sentiero singolo imbottito di aghi di pino.
Per la prima volta la macchina organizzativa si è inceppata. Esattamente a metà del lungo giro di 21km, dov'era previsto l'unico ristoro, abbiamo trovato un volontario che, desolato, ci ha spiegato che l'auto con i rifornimenti era rimasta bloccata a causa di un cancello chiuso. Il ristoro c'era, ma avremmo dovuto fare ulteriori 3 km per trovarlo, e poi tornare indietro. Inutile dire quale sia stata le scelta.
L'episodio poco piacevole ha però confermato lo spirito di solidarietà presente in questo tipo di gare. Ho perso il conto di quanti mi hanno in seguito offerto acqua dalle loro borracce e chiesto se andava tutto bene.
Memore della mia ingloriosa "giornata austriaca della disidratazione" di qualche anno fa mi sono in ogni caso gestito con cautela.
Non appena venuti a conoscenza della cosa gli organizzatori hanno comunque attrezzato volontari, zavorrati d'acqua e altri generi di conforto, i quali ci sono venuti incontro sulla via del ritorno.
Per il resto la solita piacevole giornata nel bosco.
Alameda, 25th Run for the parks
La gara è una 10km completamente su strada. Il percorso è sostanzialmente un gigantesco rettangolo di 4km per 2. La gara viene svolta sotto l'egida dell'USATF, la FIDAL statunitense, che invia dei volenterosi giudici i quali si distribuiscono lungo il percorso e, allo scoccare di ogni miglio, ce n'è uno che grida il tempo ad ogni partecipante.
L'utilità di tale servizio mi lascia un po' perplesso nel caso degli americani (vuoi non poter controllare sul cronometro?) e molto perplesso nel caso degli europei metrici decimali .
Sapere che hai corso in 7'14" il primo miglio, a meno di tabelle precostruite e memorizzate, poco ti aiuta nella transizione a minuti al km, se non darti una approssimazione che può gettarti facilmente dal giubilo alla disperazione.
Comunque s'è corso come non s'era mai corso recentemente, in tutti i sensi. Per di più su asfalto ed in rettilineo. I polpacci hanno protestato con veemenza dopo l'arrivo, ma ormai era fatta.
Soddisfazione, ma adesso torno ai sentieri, ché una maratona in montagna mi lascia meno doloretti in giro.
Solite riflessioni sulla misurazione in miglia. Psicologicamente è più facile, 3 miglia arrivano presto, e sei già a metà.
Noto, inoltre, che in queste gare ci sono i premi a sorteggio. Niente calzini o portachiavi da scarpa quì, hanno dato almeno tre paia di mizuno, un paio di cesti tipo i nostri natalizi, e un buono per un viaggio del valore di 500$. Si è atteso volentieri fino alla fine delle premiazioni.
città dove andare a vivere
In italia si tende a stare dove si è nati o dove si trova lavoro, negli Stati Uniti si tende a puntare il dito sulla cartina e dire: "vorrei vivere quì, c'è (inserire vocabolo a scelta: clima, ambiente per la crescita dei figli, vicinato, ristoranti, scena culturale, scena sportiva etc) che mi piace.
Ecco quindi che un articolo come quello citato trova spazio nel mercato americano. Quest'anno tocca alle migliori città divise per attività outdoor svolta: ciclismo, canottaggio, corsa, arrampicata, etc..
Un vincitore più un'alternativa.
Per il trail running vince Bend, nell'Oregon. Città che, senza falsa modestia, avevo già nei segnato nei posti almeno da visitare. Motivazioni: situata a 1.100 mt slm, ha 77 km di sentieri dentro la città, 17,7 km di sterrato lungo il fiume Deschutes, poco più di un milione di ettari di terra del Servizio Forestale intorno, e 300 giorni di cielo sereno all'anno.
Seconda Charlottesville, Virginia. Non sono forte sulla costa est e quindi per me una sorpresa. La motivazione sta nella posizione, nel raggio di 30 km si trovano il Shenandoah National Park, George Washington National forest e Blue Ridge Mountains.
La classifica assoluta la vince Boulder, Colorado. Anche quì, si va sul sicuro, per quanto ci sia un articolo ironico sul fatto che la vita quì non sia tutta rose e fiori.
Una sintesi di quanto scritto da Marc Peruzzi, direttore di Skiing Magazine:
"Boulder é la mecca di chi pratica attività sportive outdoor, un grande posto per viverci se siete degli appassionati, perché ognuno sembra e pensa esattamente come voi (se i vostri denti sono bianco perla e il vostro battito cardiaco a riposo è sotto i 45 bpm). Eccetto il fatto che sono migliori di voi. Accettatelo e non avrete problemi.
C'è sempre qualcuno che attacca, ricordate quando al tour de france 2005 la squadra della T-mobile continuava ad attaccare la Discovery nel tentativo di fiaccare Lance? Ecco più o meno com'è un giretto in bici a Boulder.
Tipi strani attaccano. Vecchietti con barbe grigie e bici in acciaio attaccano. Vi distraete un attimo e persino i vostri amici attaccano. E le donne: le donne attaccano sempre, sono le peggiori.
Anche tipi lenti come me attaccano. L'altro giorno mi stavo portando sotto ad un ciclista professionista in una salita brutale. Il mio battito cardiaco era più o meno al massimo, ma mi sentivo bene. Ero nella "zona". Forse quattro anni spesi a Boulder stavano pagando qualche dividendo in temini di fitness, pensavo.
Poi ho capito, stava recuperando durante delle ripetute, non appena la sua frequenza cardiaca è scesa sotto i 65 bpm è andato. Almeno ha detto "senza offesa" prima di accelerare.
E non importa che sport fate, soffrirete simili umiliazioni.
Vi credere un alpinista? i camerieri dello "Sherpa" hanno scalato l'Everest. Ma almeno quei ragazzi sono gentili. Se Reinhold Messner entrasse nel negozio "Boulder's mountaineering" per comprare un moschettone, i commessi lo guarderebbero con sufficienza."
il bicchiere mezzo pieno
Non solo non si mettono ad abbaiare o inseguire/assaltare il podista ma, addirittura, passano oltre senza neanche notarne la presenza, quasi fosse uno degli innumerevoli sassi che popolano il sentiero.
A volte viene quasi un moto di irritazione "cos'è, sono una potenziale preda troppo lenta?"
Comunque in genere niente, neanche un'annusatina di presentazione. In effetti, dopo un po' di incontri, ci si rilassa e si passa a considerazioni sull'eleganza dell'incedere, più che sulla consistenza dei canini e su possibili vie di fuga.
Poi ci saranno i soliti che dicono "Sì, però, in compenso, nei parchi californiani ci sono anche puma e orsi"
Il tempo è dalla tua parte
Il regolamento è piuttosto semplice: si dichiara il tempo prima di partire e vince chi vi si avvicina di più. Niente orologi o lepri. Scelta tra 5 o 10 km. In caso di parità viene premiato il tempo superiore (la logica è che la percentuale di errore è inferiore).
E la semplicità finisce quì, specie per chi non corre abitualmente con il cronometro.
Però è appassionante. Prima bisogna stimare il tempo che si dovrebbe impiegare, e quì si tratta di scegliere se tirare la gara, più faticoso ma più semplice da determinare, oppure se fare una corsa tranquilla, con un margine d'errore superiore.
Poi bisogna correre su quel ritmo, e resistere alla tentazione di andare a prendere quello davanti che è sempre lì a fare capolino.
Personalmente ho scelto i 5km (visto il percorso dato principalmente su cemento. Sì, cemento) indicando un ritmo simile a quello delle ultime 12km corse, e pregando per un aiuto della memoria sensoriale di quei chilometri trascorsi a chiedersi, "sarà almeno 4 e 30?", e invece era 4 e 45.
Ho puntato su un 4 e 50 di sicurezza, L'ultimo mese trascorso nelle foreste inclinate quì intorno potrebbe aver lasciato il segno, dichiarando 24'13".
La partenza è stata sostenuta, dopo circa un chilometro mi sono stabilizzato in quella che doveva essere la velocità di crociera chiedendomi però se non fosse troppo veloce, mi sembrava un 4 e 30.
I 5km passano tutto sommato veloci, tengo nel finale, non aumento, e al traguardo sento il cronometrista comunicare 23'49".
Imprecazione.
Tradotto in cifre fa 24" più veloce del pronostico, quasi 5" al km, un eternità per un podista serio. Ed infatti sono rimasto fuori dal podio, conquistato con 13" da una signora che ha chiuso in circa 32', seguito da un 15" e un 16".
Non vedo l'ora che arrivi la prossima edizione per una vendetta sul campo.
Per quanto riguarda la gara: organizzazione semifamiliare, partecipazione non elevata, credo meno di un centinaio di persone.
Percorso: circumnavigazione del lago Merritt, che si trova nel centro di Oakland. Un giro per i 5, due per i 10.
Della Morte della Scarpa
Sensi che percepiscono dolori sopiti ma mai dimenticati. Quel tendine d'achille che era guarito a fine estate dell'anno scorso, quella bandelletta ileo tibiale che pensavi archiviata tre anni fa. Addirittura il tendine sotto il malleolo, roba del secolo scorso.
E ti rendi tristemente conto che le scarpe che ti hanno accompagnato per centinaia di chilometri hanno esalato l'ultimo respiro. Fanno così, in teoria perdono la loro vitalità gradualmente, in realtà, in un giorno che credevi come tutti gli altri, smettono di proteggerti e lasciano via libera ai fantasmi del passato.
Te ne rendi conto alla corsa successiva, con le scarpe nuove, quando ti accorgi che i doloretti sono scomparsi e ti trovi semplicemente ad affrontare quelle asperità delle relazioni appena cominciate. Quando non sai ancora quando e quanto chiedere, come ti risponderà, se durerà, se sia stata la scelta giusta.
Pacifica
Nelle colline al suo interno c'è uno dei tipici parchi che caratterizzano questa zona degli Stati Uniti. Entrata con il ranger, parcheggio con piccolo edificio attiguo ove sono posizionati i servizi, e il resto è natura. Sentieri, qualche strada sterrata per facilitare l'accesso agli eventuali mezzi dei vigili del fuoco, vegetazione e animali di varie dimensioni.
La descrizione, mi rendo conto è un po' riduttiva, perché quando ci si trova lì in mezzo, specie a gara inoltrata, può accadere di essere soli in questo lembo di terra dove, un cervo, o un serpente, sarebbero in effetti quelli di casa, e tu un intruso che ha disturbato la loro quiete.
E nella gara organizzata dagli amici della Pacific Coast Trail Runs (che danno anche premi a chi ha avuto "serio divertimento" durante la gara) sia il serpente che il cervo spaventato si sono visti.
Ma si sono visti anche sentieri che si snodano all'interno dell'equivalente oceanico della macchia mediterranea, oppure sotto le fronde di giganteschi eucaliptus. Tra colline dove la civiltà sembra solo un'ipotesi lontana e dalle cui cime si intravvede l'oceano, che ha sempre il suo fascino.
Il paradiso della mucca
Ora, lo so, la mucca non è animale noto per essere facile a stressarsi, né peraltro incline a facili manifestazioni di giubilo.
In effetti erano là, sul versante soleggiato, a godersi il pasto con aria tranquilla.
Se fossi stato una muccca immagino che sarei stato felice, ma anche come umano non mi andava male.
Sterrato o sentieri tecnici tra colline ventose dove, di tanto in tanto, faceva capolino la baia di San Francisco. Nessun umano meccanizzato in visto o a tiro d'orecchio. Ritmo tranquillo. E niente orologio per cui, senza saperlo, ho corso due ore, in una giornata in cui ero uscito di casa proprio svogliato.
Sembra comunque che la mucca sia in genere un animale felice, perché il suo unico desiderio è essere una mucca, e ci riesce benissimo.
Angel Island
E sono proprio solo loro due, più un manipolo di volontari, che tengono in piedi gare da 300/400 persone senza troppi affanni.
Una grossa mano, va detto, gliela danno i partecipanti.
Gente che, se sbaglia qualcosa nel percorso, quando arriva lo fa presente e chiede di essere estromessa dalla classifica.
Gente che, prima di andar via, passa a ringraziare per aver organizzato una manifestazione così, testimoniando di essersi divertiti un sacco.
Gente che si iscrive alla 16 km ma poi decide di fare un altro giro perché "là fuori" è troppo divertente.
E sì, questa volta mi sono attrezzato a dovere, compreso il berretto di lana che ho tolto solo a pomeriggio inoltrato.
inerzie
Il tutto sempre con un po' di fatica nel trovare quell'inerzia che ti fa avanzare anche se non spingi sempre. E' più caratteristica della bici, ma in genere c'è anche nella corsa.
Non sempre.
32ma Confranculana
La corsa si snoda lontano dall'obbrobrio di cemento e altri materiali probabilmente tossici. Ci si ritrova a correre in una campagna primaverile che gli allergici odieranno con tutto il loro cuore.
Agli altri invece piacerà: tranquilla, silenziosa e verde.
Non avevo proprio voglia di far fatica, e fortunatamente non ne ho fatta. Passerà, anzi passeranno entrambe, la mancata voglia e l'assenza di fatica.
atleticafe.it
Pulito e informativo.
Mi ha colpito specialmente questa foto, vincitrice di un concorso fotografico organizzato dal sito.
E' evidente che il giudizio è stato influenzato più dal soggetto che dalla composizione. Ma se avete visto salti in lungo in vita vostra non potrete che concordare.
Ma a ben guardare ci sono altre chicche interessanti, per esempio nella sezione allenamento.
sportivo da poltrona (=poltrone?)
Quell'incedere fluido di Ivan Basso in salita è stato senz'altro il top della giornata, e di altre a venire, quando sembrerà che la salita sia troppo dura.
grazie
Su questo non avevo mai avuto dubbi, ma essendo anche un pigro da competizione in genere tendo a correre nelle piatte campagne intorno a casa.
Con poche decine di minuti di macchina posso invece recarmi in collina.
Nello specifico di oggi a Valmareno (249slm) e correre fino a Praderadego (914 slm) su una salita continua in una strada chiusa al traffico. Il ritorno invece l'ho fatto parte su sentiero tecnico e parte su sterrato facile per un totale di circa 2h09'.
A parte che sembrava di essere fuori dal mondo civilizzato, il che non è male per qualche ora, direi molto bene per un sistema che domenica aveva fatica a mettersi in moto per 11km praticamente in pianura.
La motivazione ha le sue vie.
La maratona da correre assolutamente
Per me la maratona da correre è sempre stata Boston. E' la più antica ancora in attività, è un da quì a lì ondulato, difficile, ma di soddisfazione.
Sarà che in qualche parte del percorso ci sono stato durante una vacanza, sarà per i mille ricordi che ci sono legati.
Poi Boulder Backroads. Forse perché Boulder, nel Colorado, l'ho sempre associato ad una specie di mecca della corsa. Forse perché è tutta su sterrato.
E poi lo senti, la tua maratona è la tua, non serve un perché.
Quella che "bisogna" fare è un'altra cosa, che c'entra ben poco.
*non ho ancora corso nessuna delle maratone citate. Del resto, se hai già realizzato tutti i tuoi sogni cosa ti resta?
Non è detto che si debba per forza correre la maratona
Basta trovare la corsa che piace o che ci dà qualcosa.
Quella che "bisogna" fare è un'altra cosa, che c'entra ben poco.
Sernaglia della Battaglia
Meglio dopo il quinto/sesto chilometro. Comunque grazie agli amici, senza i quali pobabilmente neanche avrei tolto la macchina dal garage.
Nel frattempo a Mareno si svolgeva la maratona e la sei ore. Di quest'ultima ho seguito l'ultima ora, nel circuito di 2,5 km.
Per motivi inspiegabili l'idea di farla l'anno prossimo mi è parsa plausibile.
32ma marcia delle lumache, Montaner
Menzione speciale per il sentierino finale, una discesa quasi verticale, un fango con un minimo di aderenza.Tutt'ora mi sorprendo dal fatto di non essere caduto
Marcia del torchiato, Fregona
Non si corre per il premio, si sa, ma quando è interessante lo riportiamo quì a memoria. L'orologio è solo per un riferimento sulle dimensioni della bottiglia.
grande Papes, ha fatto il dito alla sfortuna
"Vittorio Veneto, 17 aprile 2006 Comunicato Stampa n. 04/06
PAPES SI CONFERMA RE DEL DUATHLON
Il coneglianese si è imposto, per il secondo anno consecutivo, nella gara di Miane, nonostante una caduta al termine della frazione in mountain bike gli abbia provocato una frattura alla mano
Bravo e sfortunato. Giampaolo Papes si è aggiudicato il 3° duathon sprint di Miane, che ieri, in provincia di Treviso, ha coinvolto complessivamente quasi 200 atleti. Il coneglianese, ex mezzofondista di buon livello (all'apice della carriera correva i 5.000 metri in 14'), ha concluso le tre frazioni di gara (5 km a piedi, 13 di mountain bike e altri 2,5 a piedi) con il tempo di 59'02". Nettamente staccati tutti gli avversari, a dispetto di una caduta dalla bici in zona cambio, che ha costretto Papes – vincitore a Miane anche nel 2005 - a correre l'ultimo segmento di gara con un dito della mano fratturato: superato il traguardo, è andato al pronto soccorso senza neanche salire sul podio".
Duel in the Sun : Alberto Salazar, Dick Beardsley, and America's Greatest Marathon
Boston 1982. Una della gare che ha fatto storia.
Per la competizione, che Salazar e Beardsley corsero fianco a fianco dall'inizio alla fine.
Per l'epilogo, che vide Salazar prevalere di un soffio, ma con il dubbio, a causa di un finale, in cui sia il bus dei giornalisti che alcuni motociclisti di scorta "distrassero" Beardsley giusto a pochi metri dall'arrivo
Per il pedaggio richiesto, specialmente per Salazar, portato all'ospedale dopo l'arrivo per disidratazione, che non si risollevò più fisicamente e dopo quel 1982 non fu più lo stesso.
Beardsley ebbe altri problemi, prima ad un tendine e poi a causa di un incidente quasi letale, che ne causò poi la caduta nella dipendenza da antidolorifici.
Il libro alterna fasi della gara ad escursioni nella storia dei due prima e dopo quel giorno.
Il ritmo è sostenuto ma consente delle riflessioni interessanti fino a giungere all'arrivo, i giorni nostri, in cui i due hanno finalmente trovato una sorta di pace con se stessi e con il destino, dopo vent'anni di lotte e sofferenze. La loro vera maratona.
34ma marcia della Colomba, Vittorio Veneto
La dodici chilometri della colomba è composta grosso modo di 5,9 km di salita, 200 metri di pianura e 5,9 km di discesa.
In quei duecento metri in pianura (che un po' sale, però pensavo di non farcela, e, ho scoperto più tardi, lo stesso stava avvenendo per il mio "avversario".
Ho stretto i denti, ho pensato a Coe, ho pensato a Beardsley, che al 22mo miglio di Boston non sentiva più le gambe e decise di fare solo un altro miglio alla volta, non di più . E ho pensato al video di Prefontaine quì sotto.
Questo per un attimo, poi ho pensato a correre.
Per il resto è tutto sommato una gara piacevole, specialmente per gli amanti del fuoristrada, che nella seconda parte si possono sbizzarrire.
Non è da sottovaluare anche per gli amanti del cotechino, che al ristoro finale si possono sbizzarrire.
quando si dice gli attributi
Una spiegazione eloquente di cosa intendesse quando affermava che per vincere quando c'era lui in gara bisognava sanguinare:
Gebrselassie by Pizzolato
La premessa mi trova concorde sul fascino di vedere come gli atleti di vertice si allenano. Ricordo ancora il libricino di Mennea, che mi lasciò una grande ammirazione per i carichi di lavoro che riusciva a sopportare, e una grande tristezza per gli inverni solitari che trascorreva a Formia.
Leggere come grandi campioni, o anche semplici esseri umani, affrontano le difficoltà o si allenano a farlo, in modo più o meno organizzato, è infatti una delle mie grandi passioni.
E vedere i lavori del Gebre su 20 o più chilometri, a ritmi a cui personalmente non reggerei più di cento metri, lascia a bocca spalancata.
E desta ulteriore stima il fatto che, con la grande esperienza accumulata, può gestire a sensazione, ma in modo molto preciso, anche carichi di lavoro notevoli.
E ti vien voglia di uscire a correre, e quando sei fuori ti sembra di viaggiare leggero a quei ritmi (che poi siano reali o solo immaginati poco importa).
Hic!
Cultori delle ripetute corse ad una percentuale del ritmo di soglia, dosatori di recuperi col bilancino da farmacista, adoratori del fondo medio, (con tutto il dovuto rispetto) vade retro. Non è la gara per voi.
E non tanto per il percorso, collinare, sentieroso, e con quel po' di fango che non guasta.
Gli sponsor ufficiali sono le piccole e medie aziende vinicole della zona, le quali hanno imposto che il percorso passasse all'interno delle cantine, dove hanno anche organizzato i ristori.
The e acqua c'erano, ma preferivano decantare le doti dei loro passiti, barricati e quant'altro. E si può bere un buon vino senza un pezzetto di formaggio o di salame? No, hanno giustamente pensato.
Ed ecco che la competizione era più che altro contro sé stessi e la tentazione di fermarsi ad ogni, frequente, ristoro, per provare i prodotti locali.
Un solo rimpianto, aver mancato le precedenti 23 edizioni.
Ah, nella foto, ovviamente, il premio di partecipazione (e così salgono a due le foto nel sito che contengono, almeno, un errore)
la teoria del cavalcavia
Nei giorni in cui sembra di fare fatica senza una ragione, o oltre il lecito, cercati un cavalcavia, o un vento contro, almeno un motivo ce l'avrai.
E dopo tanto su e giù, o folate meschine, quei cento metri di prato ti daranno quella patina keniana che dura pochi secondi, ma ti accompagna per il resto della giornata.
forza di gravità
Beh, comunque è veramente una forza.
In questi giorni sembra mi abbia sfidato a braccio di ferro,
e mi stia massacrando.
il personale
Estensivamente è la nostra migliore prestazione personale. E' un punto di riferimento, una espressione del meglio che siamo riusciti a fare, per qualcuno è anche espressione di sé all'interno di una scala di valori rappresentata dai personali di tutti gli altri (vedi favoletta per dettagli).
Di fatto è un punto di riferimento che conferma il risultato del lavoro svolto, una specie di patente dell'impegno.
Ho visto gente al campo esprimere soddisfazione per aver terminato una maratona in 3h20', senza allenamento, "Pensa se mi fossi allenato".
Senza scomodare la parabola dei talenti tale affermazione è stata subito freddata da un "se arrivasse quì Tergat dicendo che ha fatto 3 ore senza allenarsi pensi che gli diremmo 'bravo'? Gli diremmo 'mona'* allenati e vedi quello che riesci a fare invece "
Perché in effetti il fascino di sapere fino a dove si riesce ad arrivare è innegabile. L'idea di aver lavorato mesi, e dato il proprio massimo, dà anche un senso di realizzazione, di raggiungimento di un obiettivo concreto.
In tempi in cui i confini delle nostre prestazioni nella vita sono piuttosto indefiniti è un simpatico aiuto.
Questo vale in generale, e ancora di più tra gli amatori, per i quali il gareggiare per un posto in classifica non ha poi questo grande significato e, tolti gli avversari personali, lascia poco per capire se si è fatto bene o male.
A livello agonistico la situazione è, a mio avviso, diversa. Il perseguimento a tutti i costi del personale, considerato come espressione del proprio valore di atleta, invece del piazzamento, può portare a delle conseguenze spiacevoli.
Esempio: due saltatrici in lungo.
A sta inseguendo da tempo il personale senza fortuna, è infatti ferma a 5m32 ma sente di valere di più.
B non si cura di quanto vale perché lei gareggia per vincere, al momento ha fatto 5m28.
A se ne frega degli altri, lei vuole fare il personale anche se arriva ultima.
Per B basta vincere, anche se fa 4 metri se ne frega.
Arriva il giorno speciale, vento a favore ma entro i limiti, clima perfetto.
A, al primo salto, plana a 5m54 ed è felice. Da quel momento in poi la gara per lei è finita, Qualche nullo, ma comunque non c'è più con la testa.
B sembra un mastino dei cartoni animati. E' assatanata e all'ultimo salto, dopo una gara in crescita atterra a 5m60, personale (ma se ne frega), e vittoria, che era quello che le interessava.
Con questo cosa volevo dire?
Che il personale è un punto di riferimento traditore. Se ne diventiamo schiavi ci può far del male.
All'amatore che lo identifica con sé stesso e non una sintesi del proprio lavoro, può togliere la soddisfazione e l'arricchimento della corsa, inseguendo numeri invece che utilizzandoli come amici che indirizzano. E non parliamo della malaugurata ipotesi in cui si inizi ad invecchiare (ci sono comunque le tabelle di comparazione per fasce d'età, se proprio non si riesce a superare il trauma)
All'agonista che lo identifica con il proprio valore atletico può essere alibi per rifuggire l'agone vero che nel suo caso starebbe nel confronto con gli altri.
* mona: tipico epiteto veneto assimilabile a 'idiota', 'babbeo', in italiano.
Etica relativa
Ci sono giorni, però, in cui, se mi comportassi onestamente, me ne starei sul divano, a leggere un libro, magari sulla corsa, prima di assopirmi.
Ecco che allora mi dico "ma sì, dai, esci per una passeggiata, magari fai un paio di allunghi, niente di più".
Poi esco e so già che il difficile era il momento mi-cambio-e-esco-dalla-porta-in-una-giornata-grigia-e-non-proprio-accogliente.
Superati i primi minuti, in genere, mi alleggerisco e decollo.
Ieri però era un giorno molto terreno, non c'era verso di librarsi, neanche a mezz'aria.
Così ho scelto la strada più lunga per arrivare a dove di solito corro gli allunghi.
Poi ho fatto la sequenza allungo-corsetta-allungo-camminata. Con questo stratagemma, in dieci sequenze, limite mentalmente accettabile, ho fatto in realtà venti allunghi.
Non sono fiero di essermi imbrogliato, ma a volte non ci sono proprio alternative.
"Il fine giustifica i mezzi, il rozzo se ne frega" (non ricordo l'autore)
27ma correndo lungo il Piave
Dopo alcuni chilometri asfaltati e stretti, circondati da varia umanità ansimante, ci si getta con veemenza nel greto del Piave (che a dispetto della natura fluviale è in buona parte asciutto), dentro una sorta di boscaglia, seguendo le volute di un sinuoso sentiero. Molto piacevole.
Dal punto di vista prestativo da segnalare sensazioni buone, andavo forte senza fare fatica.
Erano anche sensazioni che non rispondevano a verità, almeno una. Avrei dovuto capirlo dal fatto che tutti, intorno a me, andavano piano.
Non che volessi per forza andare veloce, ma l'inganno della mente e dei sensi è stato così perfetto che ci sono rimasto male al riscontro della realtà dei fatti (almeno 30 secondi al chilometro lasciati, esanimi, sul terreno dell'illusione).
Beh, se non altro la sensazione di non aver fatto fatica era reale, almeno credo, a questo punto non mi fido più.
Cielo grigio su, foglie gialle giù
Trevisomarathon 2008
Dal Comunicato stampa visibile sul sito trevisomarathon.com:
"TREVISO MARATHON CORRE NELLA STORIA
TRE PERCORSI PER UN 2008 DA RICORDARE
Un’edizione speciale celebrerà il novantesimo anniversario della vittoria italiana nella 1° Guerra Mondiale. Tre tracciati di gara si congiungeranno prima del passaggio sul Piave, (...) Il progetto prevede di affiancare, al tracciato originario della maratona (da Vittorio Veneto a Treviso), altri due percorsi che partiranno rispettivamente da Vidor e da Ponte di Piave e che, dopo aver completato all’incirca i primi 20 chilometri di gara, si congiungeranno a Ponte della Priula, appena prima dell’attraversamento del Piave stesso. Dopo la fusione fra i tre tracciati di gara, gli atleti continueranno la loro corsa lungo il tradizionale percorso che li condurrà sino a Treviso, dove sarà collocato il traguardo della maratona.
I percorsi di gara saranno intitolati alle tre Medaglie d’Oro della Grande Guerra, cui la provincia di Treviso ha dato i natali (Sante Dorigo per il tracciato che partirà da Vidor, Alessandro Tandura per quello da Vittorio Veneto, Manlio Feruglio per quello da Ponte di Piave). Gli atleti saranno forniti di maglie colorate che, al momento del ricongiungimento dei tre tronconi di gara prima del passaggio sul Piave, creeranno un suggestivo effetto tricolore. "
Io vivo sul percorso rosso ma, dovessi farla, mi butterei sul verde.
L'emerodromo
Oggi si tratta di una professione il cui mercato non è molto florido, eppure la simulazione della giornata tipo di un emerodromo sta raccogliendo i favori di un numero crescente di appassionati che vengono definiti ultramaratoneti.
L'ultramaratona è una specialità che raggruppa tutte le distanze superiori ai 42km e 195 metri della maratona. Tipicamente dai 50km in su. Per gli statunitensi è peggio ( da un certo punto di vista) perché, dove gli europei si misurano per esempio nella ormai classica 100km, per loro sono 100 miglia, che in chilometri dà oltre 160, e in ore porta la questione oltre il dì, espandondosi nei confini indefiniti della notte*.
Se guardiamo allo sforzo, senza andare troppo nei dettagli, la maratona chiede un pedaggio che le ultramaratone non chiedono.
La durata e i ritmi della maratona sono un compromesso tra il consumo di zuccheri e grassi. Le riserve di zuccheri, infatti, non sono sufficienti per una maratona tirata. Quindi tocca correre con una miscela di grassi cercando di ottimizzare velocità e consumo, perché se finiscono gli zuccheri si entra in un mondo confuso e traballante, un mondo orizzontale, in quanto in vericale si fa fatica a stare (per chi è interessato l'argomento viene ben sviscerato, anche dal punto di vista dell'allenamento specifico, nel libro "Mente e maratona" di Trabucchi e Speciani)
Nelle ultramaratone i ritmi sono, necessariamente, più lenti, si va principalmente a grassi, e di quest'ultimi ne abbiamo anche da donare ai bisognosi, e si può mangiare senza incidere sulla prestazione più di troppo.
Conclusione: lo sforzo percepito è inferiore e si riesce ad affrontare la gara senza quel grosso rischio del "muro" di maratona.
Mancherà l'adrenalina del correre sul filo del rasoio, ma si entra in un mondo fantastico, nel senso che dopo quattro o cinque ore di viaggio cambia la dimensione filosofica.
Cambiano i parametri che nella vita civile consideriamo imprescindibili. E ne vengono fuori delle belle scoperte, di se stessi principalmente.
Il tempo tiranno che ogni giorno scandisce i nostri ritmi perde un po' di potere. Sì, arrivare prima è meglio, c'è sempre l'attrazione fatale del personale, ma in fondo ci si gode l'essere la fuori, padroni di sé stessi, con l'unico imperativo di avanzare, ma, se ci si ferma a guardare una radura che si apre improvvisamente dopo chilometri di bosco, non è poi la fine del mondo.
Alla fin fine si porta un messaggio importante a sé stessi: un po' di attenzione.
Nota a margine: alcune sensazioni sono riproducibili anche su distanze più brevi corse a ritmi lenti.
*: in realtà anche chi vive in paesi decimali prova il brivido della notte. Gare, come per esempio la 100km del Passatore, partono al pomeriggio e vedono i più lesti tagliare il traguardo comunque a sera ben inoltrata.
Chi?
Tutto il mio peso era concentrato lì, avanzavo orizzontale, senza sobbalzi, le gambe roteavano rapidamente ma non spingevano, si limitavano a seguire il corpo.
Ho cercato di memorizzare assetto e sensazioni, spero di poterli riprodurre.
Chi lo sa se era il famoso Chi.
I laghetti di Savassa
Ogni anno correrla è un imperativo, quelli che di solito fanno la sei spesso si spostano sulla dodici, dove non trovano quelli della dodici perché a loro volta si sono spostati sulla venti.
Perché ha un fascino tutto suo, che ti trascina al traguardo, anche se in fondo un po' ti dispiace, perché è così bello starci.
La lepre
Si trattava di una gara di regolarità: dato un tempo accessibile a tutti sui 400 metri vinceva chi riusciva ad avvicinarcisi di più.
Ne uscivano dei risultati interessanti. La prima volta era una specie di suicidio. Tutti al massimo, e non cambiava praticamente nulla rispetto ad una gara normale.
In poche sedute la situazione si ribaltava e, con le ovvie differenze di prestazioni, tutti cominciavano ad interpretare la prova correttamente, gestendo lo sforzo in relazione all'obiettivo stabilito.
Questo gioco dava a tutti la possibilità di vincere, indipendentemente dalle potenzialità fisiche, ma aveva lo scopo, principalmente, di costruire una sensibilità al ritmo.
Era utile anche per i velocisti, ma in particolare ai corridori di lunga lena creava le basi di quella che è la dote principe (principessa?) del fondista.
Chiunque abbia mai corso una maratona partendo troppo forte (quindi tutti quelli che ne abbiano fatta almeno una) sa di cosa parlo: della capacità di correre ad un ritmo non massimale adeguato alla distanza da percorrere.
Negli ultimi anni il gioco viene fatto anche dagli adulti (non che con questo voglia assumermene alcun merito, ci sono arrivati da soli) con l'organizzazione delle lepri per tutti. Ormai le maratone importanti offrono un servizio di pacemaker che in genere va di quarto d'ora in quarto d'ora dalle tre ore auspicate fino a "entro il tempo massimo".
Ci sono atleti che si sono specializzati in questa attività, che svolgono con apprezzabile perizia, e che presenta delle difficoltà per certi aspetti superiori a correre al massimo.
La distribuzione della prestazione dev'essere assolutamente precisa dall'inizio alla fine, con margini di errore estremamente ridotti. Errori che, tra l'altro, non vengono pagati dal singolo ma da tutti quelli che di lui si sono fidati.
E' quindi comprensibile anche la pressione cui le lepri sono sottoposte.
Eppure sempre più persone si offrono e svolgono questo ruolo con perizia e soddisfazione. C'è l'aspetto prestazione individuale, il fattore sociale e il divertimento di correre senza doversi spremere al massimo per fare il personale.
Maratone tirate se ne potranno fare un paio all'anno, mentre la lepre uno la può fare molto più spesso, mettendo in gioco la testa più che il fisico.
Senza poi dimenticare che, una volta che la lepre decida di correre la maratona cercando la prestazione, avrà acquisito quella capacità di leggere il ritmo che è fondamentale in questa gara.
Trevisomarathon
Alla luce di tutto ciò non l'ho corsa, ma ho dato una mano all'organizzazione, in specifico all'ufficio stampa.
Ciò mi ha concesso il privilegio, fra l'altro, di seguire tutta la gara da un pulmino e di vedere quindi le molte maratone che si svolgono.
La gara degli agonisti, con il gruppo che pian piano si screma, prima i più lenti, poi le lepri nei punti stabiliti, e via via gli altri fino a che ne rimane uno solo.
La gara degli amatori, che ho vissuto più che altro vedendo gli arrivi di molti oltre le tre ore, ognuno con la sua storia personale e la sua personale vittoria.
La gara del pubblico lungo le strade. Caloroso, nonostante neve e temperatura, e curioso.
La gara dei volontari, pronti ad assolvere il loro compito, per quanto oscuro, con genuino entusiasmo.
La gara degli amici della DRS, incontrati con piacere la sera prima a cena.
La gara dei giornalisti, preparati in storia e statistica dell'atletica, decisi a raccontare le tante maratone a quelli che non c'erano.
La gara di Ivano Barbolini, organizzatore della maratona di Carpi, con cui ho avuto la fortuna di parlare, il quale, ovviamente, vedeva, clima, percorso, pubblico, partecipanti e quant'altro con l'occhio dell'organizzatore, con tutto ciò che questo comporta.
Eh sì, sono stato fortunato. Altri con lavori più pesanti e importanti forse non hanno potuto vedere tutto quello che ho visto io.
Ovviamente niente gare "attive" per me in questo fine settimana. Una sgroppata preventiva lungo l'argine del Monticano al sabato mattina, e una ventina di allunghi alla domenica pomeriggio, immaginando di giocarsi la vittoria con i primi.
Specie col vento a favore mi sembrava pure di andare forte.
E quella maratona di maggio, che guardavo grigiamente svogliato da lontano, sembra già più attraente e colorata.
ridisegno
Adesso dovrebbe essere possibile anche inserire dei commenti. Il condizionale è d'obbligo.
L'ho testato con Safari, Mozilla e Firefox su Mac e con Internet Explorer su Windows. Ce l'ho messa tutta per renderlo leggibile. Se ci sono problemi lasciatemi un commento e vedrò di sistemare, se posso.
Per i nostalgici ho lasciato in linea il vecchio sito: rualan.com/originale/
meriterebbe un brindisi...
giocare a zona
Era un po' che non mi trovavo "nella zona", una di quelle sensazioni per le quali vale la pena di vivere.
Avanzi senza fatica, il tempo è fermo, non di quel fermo che non passa mai, ma di quel presente che non necessita di passati da ricordare o futuri da anelare.
Un bel viaggiare non c'è che dire
il collinare
In una giornata piovosa, in cui il collinare giro del lago morto si presenti come lontano e inaccessibile, ecco che si può inserire, dentro un "lunghetto" di un'ora e mezzo, una decina di su e giù per il suddetto cavalcavia.
L'aspetto paesaggistico ne soffre, certamente, ma a volte è importante guardarsi dentro.
riporto ispirazione
Tanti angoli diversi o, forse, un solo cerchio ed una perenne ricerca.
_____________
"In un mondo che dice 'sei troppo stanco' e 'non hai tempo' e 'solo i soldi contano', la corsa ci rende Fratelli e Sorelle della strada.
Ecco perché correre non è solo qualcosa che riguarda il bruciare calorie.
Ecco perché la corsa è qualcosa di più di un semplice sfogo per lo stress.
Se la salute è il vostro obiettivo principale, potete raggiungerlo su una cyclette guardando le repliche di Fantasilandia .
Correre è 'reale' e relativamente semplice - ma non è facile.
E' una sfida.
Richiede lavoro.
Richiede l'assunzione di un impegno.
Dovete scendere dal letto, uscire dalla porta e scendere in strada.
Rischiate di prendere freddo, umidità o troppo caldo.
Potrebbe essere che dobbiate colpire sul naso qualche cane ultrazelante
oppure qualche pirata della strada sul cofano,
e che vi capiti più volte.
E, naturalmente, dovete cominciare facendo la vostra prima vera corsa."
(Mark Will-Weber, "The quotable runner")
_____________
"Forse il prezzo per salire in cima all'Everest si deve calcolare in modo diverso. Sembra che sempre più gente sia disposta a pagare in contanti, ma non tutti sono disposti a pagare di persona con lo sforzo fisico necessario per allenarsi gradualmente, corpo e mente, scalando cime più basse, muovendosi dalle difficoltà più semplici a quelle più complesse, e arrivare solo alla fine a scalare gli ottomila. Una preparazione di questo tipo forse non è appagante, ma è necessaria."
(Anatolij Bukreev - non è detto che la frase si applichi solo all'Everest, ndr)
_____________
"Una gara è un'opera d'arte che le persone possono osservare, ed esserne colpite, in tanti modi quanti sono in grado di comprendere"
(Steve Prefontaine)
_____________
"Correre è fondamentalmente un assurdo passatempo attraverso il quale sfinirsi. Ma se riuscirete a trovare un significato in esso, riuscirete a trovare un significato in un altro assurdo passatempo: la vita."
(Bill Bowerman, allenatore)
_____________
"Ero interamente assorbita nei miei pensieri. Pensieri pratici, come 'mettere
mettere un piede davanti all'altro' e pensieri più metafisici, tipo 'cedere
alla stanchezza oppure accettarla come fatto naturale e anzi vedere nel
superamento psicologico della stanchezza il *vero* obiettivo della
competizione.' "
(Amy Stilson Pogliano al suo esordio nella Avon Running)
_____________
"Un sacco di gente gareggia per vedere chi è il più veloce. Io corro per vedere chi ha più fegato, chi può punire sé stesso con un ritmo da sfin imento , e poi, alla fine, punirsi ulteriormente.
Nessuno vincerà un 5000 dopo aver corso 3 chilometri facili. Non se ci sono io. Se perdo forzando il ritmo per tutta la gara, almeno posso vivere con me stesso"
(Steve Prefontaine)
_____________
"Siamo sempre i Paul Tergat di qualcuno e i tapascioni di qualcun altro".
Volevo dire che se mi gaso troppo mi basti pensare che quello che io faccio a stento in un mille, molti lo fanno 42 volte di fila; ugualmente, ce ne sono tanti che vanno piu' piano di me, dunque non mi devo buttare mai troppo giu'.
Credo che in questa affermazione tutti ci possiamo riconoscere almeno un po'.
(Andrea Busato)
_____________
"Sono il tipico corridore "stesso tempo - stesso luogo". Corro gli stessi percorsi, di solito alla stessa ora.
La ripetitività di questa routine mi dà un senso di tranquillità. Ma le corse in sé non sembrano "repliche televisive".
Sono diverse le une dalle altre tanto quanto i singoli fiocchi di neve o le impronte digitali. Non ce ne possono essere due uguali.
Il tempo atmosferico cambia di giorno in giorno e la luce di stagione in stagione. I livelli di motivazione ed energia d ettano i cambiamenti di andatura. Le persone sorpassate, i luoghi visti e le cose pensate: tutto cambia in ogni corsa.
Ogni corsa unisce la consuetudine della routine con la sorpresa del nuovo giorno. Questo insieme non lascia spazio alla noia.
(Joe Henderson, "Correre al meglio")
riporto libri
Stessa cosa, un po' più facile da aggiornare per me, e quindi ci sono maggiori possibilità che lo faccia.
"Suffer in silence" di David Reid. Un romanzo, però basato sull'esperienza reale dell'autore, ambientato nella prima fase del corso per l'ammissione ai reparti speciali della marina statunitense, i SEAL. Una fase in cui il compito primo degli istruttori è scremare i meno resistenti, e ce la mettono tutta, gli istruttori. L'ultima settimana, chiamata "hell week", prevede la quasi totale privazione del sonno, e frequenti immersioni senza muta nell'oceano. Dopo tre giorni di hell week volevo mollare, io, che stavo solo leggendo, fra l'altro steso in spiaggia, nel torpore di una mattinata agostana. Un viaggio nel mondo della "resistenza", in senso lato ed estremo, che lascia esausti.
"Every second counts" di lance Armstrong. E' il seguito del libro precedente, riprende da dopo la guarigione e passa per i tour de France vinti, assieme alla vita che ci girava intorno. Impressiona la professionalità con cui affronta ogni aspetto del suo lavoro, allenamento, alimentazione, materiali. Tutto, per limare anche solo qualche secondo, in fondo la gara si decide nell'ambito di pochi minuti di distacco, dopo tre settimane di corsa. Ma sono importanti tutti i secondi, Lance se ne rende conto avendo dovuto affrontare una situazione in cui sembrava non gliene restassero molti.
"Dick Beardsley - Staying the course: a runner's toughest race" di Dick Beardsley e Maureen Anderson. La storia di un atleta noto per essere arrivato secondo in una delle più famose sfide di maratona:Boston, 1982. La gara venne vinta da Salazar per un paio di secondi dopo una lotta allo stremo. Dick ha però anche dovuto superare molte altre traversie che racconta ora con la semplicità del ragazzo di campagna che è sempre stato. Dall'incidente nella fattoria alla successiva dipendenza dai "painkillers", al recupero, come ogni buon runner. Se qualcuno pensa di essere sfortunato dovrebbe leggere questo libro.
"Hills, hawgs & Ho Chi Minh" di Don Kardong. Una raccolta di racconti sulla corsa scritti con il consueto umorismo che contraddistingue l'autore. Sono tutti già stati pubblicati, generalmente su Runner's World, ma più di qualche anno fa. Le riflessioni non perdono comunque di attualità, una lettura scorrevole mai priva di un "eh già" o "però" di ammirazione.
"Ultramarathon man - confessions of an all-night runner" di Dean Karnazes Ed ecco un ultramaratoneta un po' discusso nell'ambiente. Forse perché in genere mantengono un basso profilo, forse la gelosia, ma più di un sopracciglio si solleva al sentire il suo nome. Non è il più "veloce", forse è il più resistente, in ogni caso è riuscito a gestire bene la situazione a livello di immagine. Il libro parla della sua maturazione attraverso principalmente quattro gare (Western states, badwater, la maratona al polo sud e la "staffetta" da 200 miglia). Interessanti le reazioni fisiche alle condizioni estreme cui si sottopone. Dal punto di vista tecnico non c'è molto, è un "marziano".
"Kelly Holmes - my olympic ten days" di Kelly Holmes vincitrice di 800 e 1500 ad Atene. Questo libro non vincerà di certo un premio letterario ma è utile per dare una visione dal di dentro di come un'atleta di vertice vive un appuntamento come le Olimpiadi.
"Paula- my story so far" di Paula Radcliffe. Biografia dell'atleta britannica fino ad oggi (poche settimane dopo Atene 2004 ndr). Alcune parti possono risultare poco interessanti (la fase dell'adolescenza e la storia con l'attuale marito, per me) ma il racconto delle settimane prima e dopo Atene è assolutamente emozionante. Ci porta su quella strada infuocata vista da dentro di lei e non da sterili telecamere.
"Raising the bar - integrity and passion in life and business - the story of Clif Bar inc. - a journey toward sustaining your business, brand, people, community and the planet" di Gary Erickson con Lois Lorentzen. Storia di una passione diventata business, storia di un business rimasto, lottando con le unghie e con i denti, passione. Clif bar non è conosciuta in Italia ma negli Stati Uniti è uno dei principali attori nel campo delle "barrette" energetiche. Il proprietario racconta la storia dalla nascita dell'idea, agli inizi nella cucina di mamma, alla crescita vertiginosa, alla quasi vendita ad un grossa società, alle difficoltà quotidiane. Molto spazio viene dato alla questione della sostenibilità: del brand e del business, perché se non si fanno soldi non si sopravvive. Delle persone che lavorano in azienda, il cui benessere influisce sull'azienda. Della comunità che vive intorno all'azienda. Del pianeta in cui vive l'azienda. L'autore, appassionato di jazz, di vita all'aria aperta, di ciclismo, di arrampicata, fa dei paralleli tra la sua vita e quella di un'azienda, racconta dei suoi viaggi in bici in giro per il mondo. Imperdibile per chi creda che il mondo degli affari sia solo cinico calcolo, e anche per tutti gli altri.
"Aspro e dolce" di Mauro Corona. Il racconto di una vita vista attr averso il vetro spesso di un bicchiere, di vino. Spesso triste.
"La ragazza dai capelli strani" di David Foster Wallace. Una raccolta di racconti di un Grande Scrittore. Non parla della corsa, ma mica si può sempre correre. E mica si può sapere a priori da dove arriveranno ispirazioni e idee che potrebbero esserci utili.
"Prisoner's dilemma" di William Poundstone. Un libro un po' tecnico, un po' storico, riguardo la teoria dei giochi, John Von Neumann e varie amenità che l'umanità è riuscita ad imbastire nel secolo scorso (non esclusa la guerra fredda e la bomba atomica).
"Le regole dell'avventura" di Laurence Gonzales. L'autore analizza molti episodi di sopravvivenza (o mancata sopravvivenza) cercando di trovare un filo comune che non sia la fortuna. Esplora con divizia di particolari le connessioni e reciproche influenze tra mente e corpo(ricorda niente?) e gli atteggiamenti tipici di vittime e sopravvissuti. Spiega anche di come sia perfettamente normale comportarsi da stupidi, a volte. Così la prossima volta forse non lo farete o, forse, vi sentirete solo meno stupidi. Non si limita a condizioni estreme, ci sono applicazioni anche nella vita di tutti i giorni, per esempio un'azienda e il mercato in cui opera (che non è detto non sia una condizione stile giungla, in ogni caso). E, a voler ben guardare, la corsa lunga è una situazione da sopravvivenza. L'elenco di regole finali si adatta perfettamente a chi voglia sopravvivere ad una maratona. Un libro imperdibile, in estrema sintesi.
"L'arte dell'inganno" di Kevin D. Mitnick. Il più famoso hacker della storia svela molti dei suoi segreti che, forse a sorpresa, si rivelano poco tecnici e molto personali. Molti esempi pratici di come, ancora una volta, siano sempre le persone la maggior risorsa cui possiamo attingere. Imperdibile per tutti quelli che si interessano di comunicazione (cioè chiunque?).
"Il metodo Alexander" di Sarah Barker. (ri)educazione posturale e gestione delle tensioni muscolari. Pensiamoci prima di ricorrere a soluzioni esterne o anche solo ad aumentare i carichi di lavoro. "Ripensare lo sport" di Pietro Trabucchi. Cos'è stato, cos'è e cosa potrebbe essere lo sport per la crescita di una persona. Tanto. Eccezionale, senza voler sminuire il resto del testo, la post-fazione di Brunod.
"La corsa dolce, secondo il metodo Feldenkrais" di Wim Luijpers e Rudolf Nagiller. Riflessioni sulla corsa in generale e sulla tecnica in particolare. Molto tranquillo e colloquiale. Belli i capitoli su postura e tecnica di corsa.
"A step beyond: a definitive guide to ultrarunning" di autori vari. Una corposa raccolta di notizie, suggerimenti, letture per chi è interessato ad andare oltre la maratona. Una guida completa e ben fatta.
"Non ho problemi di comunicazione" di Walter Fontana, autore, tra l'altro, della battuta: "Era un bambino presuntuoso e saccente. Quando la maestra di prima elementare gli chiese: "Ma tu credi in Dio?", lui rispose: "Be', credere è una parola grossa. Diciamo che lo stimo". Il libro, splendido. Ironico, amaro, divertente. Non dovrebbe essere ignorato da chiunque si interessi di comunicazione, cioè chiunque.
"The runner and the path" di Dean Ottati. Riflessioni sulla vita originate dalla corsa e dai vari personaggi incontrati dall'autore. Piuttosto didascalico, la corsa è più che altro un pretesto per scrivere dei colloqui che avvengono durante. Buono il capitolo sull'attenzione. Si può perdere.
"Soul surfer" di Bethany Hamilton. Tredicenne hawaiana, promessa del surf, viene attaccata da uno squalo cui lascia l'intero braccio sinistro, dalla spalla praticamente. Il suo primo pensiero, una volta ripresa dal comprensibile shock, è di come fare a tornarci, sulle amate onde. Non un capolavoro letterario ma il racconto dell'episodio è straziante. Interessanti osservazioni sul vivere da celebrità e sul come gestire una nuova realtà di questo tipo. I riferimenti a Dio e alla fede sono continui.
"Mente e Maratona" di Speciani e Trabucchi . Collegamento corpo e mente sviscerato con pazienza e dovizia di particolari. Per me come trovare un vecchio amico. La parte dedicata alla gestione di fatica e dolore l'ho letta come un thriller, non riuscivo a distogliere l'attenzione. Molto dettagliati e stimolanti i diversi mezzi di allenamento suggeriti. Direi che entra di prepotenza tra quelli da tenere a portata di mano per rileggere alla bisogna.
"No need for speed" di John Bingham. Un libro che parla di amore per la corsa e di come farne una relazione per la vita. Niente tabelle, solo scrittura scorrevole e piacevoli osservazioni.
"La preparazione mentale agli sport di resistenza" di Piero Trabucchi. Mi verrebbe da dire un testo basilare per chi sia interessato all'argomento. Scrittura semplice ma tecnica, e che va a bersaglio. Non solo per lo sport ma anche per la vita di tutti i giorni. Perché si debba poi considerarli separati non lo so.
"Long distance" di Bill McKibben. Uno scrittore giornalista decide di prendersi un anno sabbatico, assumere un allenatore e provare ad allenarsi come un atleta professionista. Divertente e profondo nell'analizzare la vita dell'atleta. Ambientato nel mondo dello sci di fondo ma i concetti non cambiano per qualsiasi altro sport di resistenza.
"Lo zen e l'arte della corsa" di Luca Speciani. Principi dello zen applicati alla corsa. La mente che lavora insieme al corpo per sfruttare al meglio il proprio potenziale. Un bel libro per guardare oltre la solita siepe.
"Correre al meglio" di Joe Henderson. Impostazione americana per questo libro. Meno tabellare dei corrispondenti italiani e più filosofo e pratico nei consigli.
"Il miracolo della presenza mentale" di Thich Nhat Hanh. L'autore, monaco vietnamita propone di far entrare la meditazione nella propria vita quotidiana. Accanto a quella classica da seduti suggerisce di affiancare la consapevolezza nell'esercizione delle faccende quotidiane. Lavare i piatti non è più stato lo stesso da quando ho letto questo testo.
"ChiRunning" di Danny Dreyer. Principi del tai chi, arte marziale cinese, applicati alla corsa. Sensata e condivisibile analisi della tecnica di corsa. L'applicazione di quanto spiegato mi ha consentito di risolvere un fastidioso problema alla caviglia che mi perseguitava, nonché completare senza grossi danni una 50km trail con alle spalle una trentina di chilometri alla settimana. Non fa miracoli, intendiamoci, ma aiuta con buon senso.
riporto storie
In questa pagina ci è finita una raccolta di storie scritte nel tempo, molte inviate alla mailing list della DRS (vedi eventualmente link per maggiori informazioni). L'argomento è, generalmente, la corsa ma ognuno ci può leggere quello che gli pare. La corsa è (anche) un mezzo, sta a noi utilizzarla per i nostri fini, fossero anche, semplicemente, correre.
storiella di Luglio : parla di una gara corsa, fatta qualche anno fa, dove mi ero imposto di correre dall'inizio alla fine. E' interessante per me ripescare queste storie. Infatti c'è un cenno al mio odio per le discese, che non esiste più avendo fatto dei lavori di tecnica di corsa specifici. L'adattamento dovrebbe far parte del bagaglio a mano del podista.
ah..cqua, ah..ahc..quah... : quì si parla di idratazione, o di mancanza di questa. Non ci faccio una bella figura effettivamente, però trovo sia rappresentativa di come a volte gli atleti degli sport di resistenza tendano a sottovalutare determinati segnali. Riuscire a discernere il dolore "buono" da quello "cattivo" è in effetti una delle conquiste più difficili. Per la cronaca, nelle gare lunghe mi porto sempre la borraccia, adesso.
opinione sulla corsa : questa era una risposta ad una mail che esprimeva dubbi sulle ultramaratone. L'ho riletta e mi è parsa scritta in un momento di lucidità. Ne ho approfittato.
Steve Prefontaine : alcune righe su un atleta che mi ha colpito molto sebbene, o soprattutto perché, molto diverso da me.
Merlene Ottey : potere della mente. Un corpo strepitoso che non è praticamente mai salito sul gradino del podio di sua spettanza. Il sabotatore, ahimé, operava dall'interno.
Paula Radcliffe : emozioni raccolte dopo il record sulla maratona di Chicago, nel 2002, anche quì per un'atleta che interpreta le gare in modo molto diverso da me.
delle competizioni, anche : un fine settimana di ottobre 2004 ricco di emozioni e di spunti di riflessione.
piccolo trotto : prima corsa "seria" al rientro da un infortunio.
favoletta : una storia di fantasia.
confini sfumati : cosa successe a Don Kardong quando si avvicinò ai quaranta, una storia di limiti.
confini molto sfumati : pochi giorni dopo le riflessioni su Don Kardong e i limiti la questione si ripropone. Un segno?