materiali

New Balance, modello sconosciuto, circa 1980

New Balance, Model Unknown, Circa 1980 (extended view)

E visto che siamo sulla strada dei ricordi ci mettiamo anche queste, che risalgono alla fine degli anni settanta, inizio anni ottanta.

Mi furono regalate dal mio allenatore, che a sua volta le aveva ricevute da qualcuno, ma non siamo riusciti a ricostruire chi. Non era infrequente ai Meeting di Atletica chiedere del materiale agli atleti sponsorizzati, che ne avevano sempre oltre il necessario.

In ogni caso, New Balance, made in USA, che non si vede più molto spesso in quel mercato. Nate in un priodo in cui le scarpe da corsa erano solo scarpe che servivano per correre, e non si sapeva nulla di iperpronazione, supporto o minimalismo.

Essendo un regalo non volevo rovinarle e ci ho corso solo poche volte. Me le ricordo reattive con il giusto tocco di ammortizzazione.

Si stanno lentamente dissolvendo, ma ogni tanto le recupero e ci dò un’occhiata. Portano alla luce bei ricordi.

La Staffetta

Relay

Ci sono scarpe che hanno grandi storie da raccontare, conquiste, una ‘prima’ gara, una gara tosta, una memorabile.

Alcune non ne hanno, ma non sono per questo meno importanti.

Quelle Saucony Ride 2 mi sono state a fianco, per modo di dire, in un periodo di tendini doloranti e morale in discesa. Mai si sono lamentate per il ritmo lento o le frequenti soste. Hanno fatto semplicemente il loro lavoro, a malapena si notavano, ma era l’unico paio che potevo indossare senza soffrire.

Adesso sono stanche, pronte ad essere rimpiazzate dalle loro gemelle, che sanno di dover portare avanti una eredità di supporto e confort.

Gare più veloci arriveranno, si spera, grazie anche alla loro accettazione del ruolo avuto nella mia storia.

Avere il polso della situazione

il polso della situazione

Fermo restando che uno può correre più o meno senza nulla, fatti salvi i limiti legali della decenza e quelli fisici della preparazione, questi sono due utensili che nelle mie corse di questi tempi non mancano mai.

Un
Garmin 110, che è tra le versioni più semplici della gamma, ti dà la distanza percorsa, sopra, il tempo totale trascorso, in mezzo, e il ritmo medio del giro, sotto. Per giro si intende dall’ultima volta che è stato premuto il pulsante “lap”. Si può anche automatizzare la cosa, io ad esempio ho fissato l’autolap ad un chilometro.

Chiaramente chi si alleni con tabelle che richiedono lavori intervallati complessi, o sia un appassionato di dati, si troverà meglio con modelli più completi, che raccolgono e forniscono maggiori informazioni. Viceversa anche un’occhiata all’orologio in cucina all’uscita ed al rientro può essere sufficiente.

L’altro è un braccialetto
roadID su cui sono stati incisi il mio nome e cognome, anno di nascita e numeri telefonici di riferimento. Si toccano tutti i metalli possibili ma può capitare un’emergenza quando si è fuori, ed in genere non si hanno con sé documenti identificativi. Grazie al braccialetto si potrà facilmente risalire all’identità del malcapitato ed avvisare i familiari.

Anche qua, un bigliettino in tasca con i numeri svolge la stessa funzione, per quanto sia meno immediatamente visibile ed il braccialetto bilanci il peso dell’orologio (di nuovo, poca cosa, lo so).

Del resto non sono consigli per gli acquisti, ma solo inviti alla riflessione.

O neanche.