Non si corre per il premio, si sa, ma quando è interessante lo riportiamo quì a memoria. L'orologio è solo per un riferimento sulle dimensioni della bottiglia.
"Vittorio Veneto, 17 aprile 2006 Comunicato Stampa n. 04/06
PAPES SI CONFERMA RE DEL DUATHLON
Il coneglianese si è imposto, per il secondo anno consecutivo, nella gara di Miane, nonostante una caduta al termine della frazione in mountain bike gli abbia provocato una frattura alla mano
Bravo e sfortunato. Giampaolo Papes si è aggiudicato il 3° duathon sprint di Miane, che ieri, in provincia di Treviso, ha coinvolto complessivamente quasi 200 atleti. Il coneglianese, ex mezzofondista di buon livello (all'apice della carriera correva i 5.000 metri in 14'), ha concluso le tre frazioni di gara (5 km a piedi, 13 di mountain bike e altri 2,5 a piedi) con il tempo di 59'02". Nettamente staccati tutti gli avversari, a dispetto di una caduta dalla bici in zona cambio, che ha costretto Papes – vincitore a Miane anche nel 2005 - a correre l'ultimo segmento di gara con un dito della mano fratturato: superato il traguardo, è andato al pronto soccorso senza neanche salire sul podio".
Boston 1982. Una della gare che ha fatto storia.
Per la competizione, che Salazar e Beardsley corsero fianco a fianco dall'inizio alla fine.
Per l'epilogo, che vide Salazar prevalere di un soffio, ma con il dubbio, a causa di un finale, in cui sia il bus dei giornalisti che alcuni motociclisti di scorta "distrassero" Beardsley giusto a pochi metri dall'arrivo
Per il pedaggio richiesto, specialmente per Salazar, portato all'ospedale dopo l'arrivo per disidratazione, che non si risollevò più fisicamente e dopo quel 1982 non fu più lo stesso.
Beardsley ebbe altri problemi, prima ad un tendine e poi a causa di un incidente quasi letale, che ne causò poi la caduta nella dipendenza da antidolorifici.
Il libro alterna fasi della gara ad escursioni nella storia dei due prima e dopo quel giorno.
Il ritmo è sostenuto ma consente delle riflessioni interessanti fino a giungere all'arrivo, i giorni nostri, in cui i due hanno finalmente trovato una sorta di pace con se stessi e con il destino, dopo vent'anni di lotte e sofferenze. La loro vera maratona.
La dodici chilometri della colomba è composta grosso modo di 5,9 km di salita, 200 metri di pianura e 5,9 km di discesa.
In quei duecento metri in pianura (che un po' sale, però pensavo di non farcela, e, ho scoperto più tardi, lo stesso stava avvenendo per il mio "avversario".
Ho stretto i denti, ho pensato a Coe, ho pensato a Beardsley, che al 22mo miglio di Boston non sentiva più le gambe e decise di fare solo un altro miglio alla volta, non di più . E ho pensato al video di Prefontaine quì sotto.
Questo per un attimo, poi ho pensato a correre.
Per il resto è tutto sommato una gara piacevole, specialmente per gli amanti del fuoristrada, che nella seconda parte si possono sbizzarrire.
Non è da sottovaluare anche per gli amanti del cotechino, che al ristoro finale si possono sbizzarrire.
Una spiegazione eloquente di cosa intendesse quando affermava che per vincere quando c'era lui in gara bisognava sanguinare:
La premessa mi trova concorde sul fascino di vedere come gli atleti di vertice si allenano. Ricordo ancora il libricino di Mennea, che mi lasciò una grande ammirazione per i carichi di lavoro che riusciva a sopportare, e una grande tristezza per gli inverni solitari che trascorreva a Formia.
Leggere come grandi campioni, o anche semplici esseri umani, affrontano le difficoltà o si allenano a farlo, in modo più o meno organizzato, è infatti una delle mie grandi passioni.
E vedere i lavori del Gebre su 20 o più chilometri, a ritmi a cui personalmente non reggerei più di cento metri, lascia a bocca spalancata.
E desta ulteriore stima il fatto che, con la grande esperienza accumulata, può gestire a sensazione, ma in modo molto preciso, anche carichi di lavoro notevoli.
E ti vien voglia di uscire a correre, e quando sei fuori ti sembra di viaggiare leggero a quei ritmi (che poi siano reali o solo immaginati poco importa).
Cultori delle ripetute corse ad una percentuale del ritmo di soglia, dosatori di recuperi col bilancino da farmacista, adoratori del fondo medio, (con tutto il dovuto rispetto) vade retro. Non è la gara per voi.
E non tanto per il percorso, collinare, sentieroso, e con quel po' di fango che non guasta.
Gli sponsor ufficiali sono le piccole e medie aziende vinicole della zona, le quali hanno imposto che il percorso passasse all'interno delle cantine, dove hanno anche organizzato i ristori.
The e acqua c'erano, ma preferivano decantare le doti dei loro passiti, barricati e quant'altro. E si può bere un buon vino senza un pezzetto di formaggio o di salame? No, hanno giustamente pensato.
Ed ecco che la competizione era più che altro contro sé stessi e la tentazione di fermarsi ad ogni, frequente, ristoro, per provare i prodotti locali.
Un solo rimpianto, aver mancato le precedenti 23 edizioni.
Ah, nella foto, ovviamente, il premio di partecipazione (e così salgono a due le foto nel sito che contengono, almeno, un errore)
Nei giorni in cui sembra di fare fatica senza una ragione, o oltre il lecito, cercati un cavalcavia, o un vento contro, almeno un motivo ce l'avrai.
E dopo tanto su e giù, o folate meschine, quei cento metri di prato ti daranno quella patina keniana che dura pochi secondi, ma ti accompagna per il resto della giornata.
Estensivamente è la nostra migliore prestazione personale. E' un punto di riferimento, una espressione del meglio che siamo riusciti a fare, per qualcuno è anche espressione di sé all'interno di una scala di valori rappresentata dai personali di tutti gli altri (vedi favoletta per dettagli).
Di fatto è un punto di riferimento che conferma il risultato del lavoro svolto, una specie di patente dell'impegno.
Ho visto gente al campo esprimere soddisfazione per aver terminato una maratona in 3h20', senza allenamento, "Pensa se mi fossi allenato".
Senza scomodare la parabola dei talenti tale affermazione è stata subito freddata da un "se arrivasse quì Tergat dicendo che ha fatto 3 ore senza allenarsi pensi che gli diremmo 'bravo'? Gli diremmo 'mona'* allenati e vedi quello che riesci a fare invece "
Perché in effetti il fascino di sapere fino a dove si riesce ad arrivare è innegabile. L'idea di aver lavorato mesi, e dato il proprio massimo, dà anche un senso di realizzazione, di raggiungimento di un obiettivo concreto.
In tempi in cui i confini delle nostre prestazioni nella vita sono piuttosto indefiniti è un simpatico aiuto.
Questo vale in generale, e ancora di più tra gli amatori, per i quali il gareggiare per un posto in classifica non ha poi questo grande significato e, tolti gli avversari personali, lascia poco per capire se si è fatto bene o male.
A livello agonistico la situazione è, a mio avviso, diversa. Il perseguimento a tutti i costi del personale, considerato come espressione del proprio valore di atleta, invece del piazzamento, può portare a delle conseguenze spiacevoli.
Esempio: due saltatrici in lungo.
A sta inseguendo da tempo il personale senza fortuna, è infatti ferma a 5m32 ma sente di valere di più.
B non si cura di quanto vale perché lei gareggia per vincere, al momento ha fatto 5m28.
A se ne frega degli altri, lei vuole fare il personale anche se arriva ultima.
Per B basta vincere, anche se fa 4 metri se ne frega.
Arriva il giorno speciale, vento a favore ma entro i limiti, clima perfetto.
A, al primo salto, plana a 5m54 ed è felice. Da quel momento in poi la gara per lei è finita, Qualche nullo, ma comunque non c'è più con la testa.
B sembra un mastino dei cartoni animati. E' assatanata e all'ultimo salto, dopo una gara in crescita atterra a 5m60, personale (ma se ne frega), e vittoria, che era quello che le interessava.
Con questo cosa volevo dire?
Che il personale è un punto di riferimento traditore. Se ne diventiamo schiavi ci può far del male.
All'amatore che lo identifica con sé stesso e non una sintesi del proprio lavoro, può togliere la soddisfazione e l'arricchimento della corsa, inseguendo numeri invece che utilizzandoli come amici che indirizzano. E non parliamo della malaugurata ipotesi in cui si inizi ad invecchiare (ci sono comunque le tabelle di comparazione per fasce d'età, se proprio non si riesce a superare il trauma)
All'agonista che lo identifica con il proprio valore atletico può essere alibi per rifuggire l'agone vero che nel suo caso starebbe nel confronto con gli altri.
* mona: tipico epiteto veneto assimilabile a 'idiota', 'babbeo', in italiano.