Treviso Marathon
04/03/12 22:22 Filed in: corsi e ricorsi
Chilometro tre, la lepre Ugandese, e i due Kenyani favoriti della gara, Chemchir e Kwalia. Si viaggia sui 3’05”/3’06”.
Kwalia però non è che viaggi confortevole, il passo è pesante e assomiglia tanto a uno che sia alla fine di una ripetuta sui tremila. Respirazione affannosa, occhio che tradisce un pensiero al tepore delle mura domestiche.
Infatti si stacca poco dopo, e pian piano diventa un puntino lontano nel rettilineo.
Verso il decimo chilometro le condizioni di Kwalia destano preoccupazione, si teme non arriverà nemmeno alla macchina di supporto delle lepri, in attesa al quindicesimo.
Chilometro dodici, qualcosa è cambiato, Kwalia sembra più sciolto, l’andatura più allegra e dà l’impressione di aver aumentato il ritmo. I battistrada non sono in vista, è il centro di Conegliano, e hanno almeno due o tre minuti di vantaggio.
Ritornati sulla Pontebbana, complici i rettilinei che dominano il percorso, Chemchir e collega tornano in vista, le canottiere gialle sempre più visibili. Metro per metro la distanza si accorcia, percettibilmente
Poco dopo Ponte Della Priula, intorno al diciannovesimo chilometro, il ricongiungimento.
Da lì proseguono appaiati, anche dopo che la lepre termina il suo compito.
Un regista romantico a questo punto spingerebbe con la forza del giusto Kwalia sul gradino più alto del podio.
Ma questa è la vita vera, l’impresa è già stata compiuta, il prezzo pagato sarà l’incapacità di reagire all’attacco finale di Chemchir, che si invola nei pressi dell’arrivo, guadagnando pochi secondi cruciali per vincere in solitaria.
Ma sarà poi l’unico ad aver vinto?
Chiunque abbia mai corso per più di qualche metro conosce quella sensazione cupa di sconfitta. La Crisi. Il corpo protesta, la mente comincia a vacillare, si vorrebbe continuare, all’inizio, poi neppure quello. Viene messa in discussione la stessa presenza fisica in quel luogo “ma chi me lo fa fare?”.
Magari un atleta professionista lo sa chi glielo fa fare, ma nulla toglie (anzi forse peggiora) al senso di disperazione nel vedere, al terzo chilometro di una maratona, gli avversari allontanarsi, ancora freschi, come dovrebbe essere per tutti a quel punto.
Se lo sport prepara alla vita, è in quello spazio tra il terzo e il diciannovesimo che si è imparato qualcosa: a reagire, ché la strada è lunga e “non va mai sempre peggio”.
Grazie Kwalia, una bella lezione.
Kwalia però non è che viaggi confortevole, il passo è pesante e assomiglia tanto a uno che sia alla fine di una ripetuta sui tremila. Respirazione affannosa, occhio che tradisce un pensiero al tepore delle mura domestiche.
Infatti si stacca poco dopo, e pian piano diventa un puntino lontano nel rettilineo.
Verso il decimo chilometro le condizioni di Kwalia destano preoccupazione, si teme non arriverà nemmeno alla macchina di supporto delle lepri, in attesa al quindicesimo.
Chilometro dodici, qualcosa è cambiato, Kwalia sembra più sciolto, l’andatura più allegra e dà l’impressione di aver aumentato il ritmo. I battistrada non sono in vista, è il centro di Conegliano, e hanno almeno due o tre minuti di vantaggio.
Ritornati sulla Pontebbana, complici i rettilinei che dominano il percorso, Chemchir e collega tornano in vista, le canottiere gialle sempre più visibili. Metro per metro la distanza si accorcia, percettibilmente
Poco dopo Ponte Della Priula, intorno al diciannovesimo chilometro, il ricongiungimento.
Da lì proseguono appaiati, anche dopo che la lepre termina il suo compito.
Un regista romantico a questo punto spingerebbe con la forza del giusto Kwalia sul gradino più alto del podio.
Ma questa è la vita vera, l’impresa è già stata compiuta, il prezzo pagato sarà l’incapacità di reagire all’attacco finale di Chemchir, che si invola nei pressi dell’arrivo, guadagnando pochi secondi cruciali per vincere in solitaria.
Ma sarà poi l’unico ad aver vinto?
Chiunque abbia mai corso per più di qualche metro conosce quella sensazione cupa di sconfitta. La Crisi. Il corpo protesta, la mente comincia a vacillare, si vorrebbe continuare, all’inizio, poi neppure quello. Viene messa in discussione la stessa presenza fisica in quel luogo “ma chi me lo fa fare?”.
Magari un atleta professionista lo sa chi glielo fa fare, ma nulla toglie (anzi forse peggiora) al senso di disperazione nel vedere, al terzo chilometro di una maratona, gli avversari allontanarsi, ancora freschi, come dovrebbe essere per tutti a quel punto.
Se lo sport prepara alla vita, è in quello spazio tra il terzo e il diciannovesimo che si è imparato qualcosa: a reagire, ché la strada è lunga e “non va mai sempre peggio”.
Grazie Kwalia, una bella lezione.