In principio era il surf
18/08/20 10:58
In principio era il surf.
Quelle cose che un bambino vede alla tv, in un mondo senza internet, e resta con gli occhioni spalancati sul precipizio di un mondo di sogni, fatto di eleganti discese liquide e scivolate dentro tubi infiniti.
Dal precipizio non si cade, visto che il bambino vive spiaccicato nel mezzo della pianura padana, dove le onde non si vedono nemmeno con il cannocchiale e, al mare, le nonne, iperprotettive, concedono 15 minuti cronometrati di giochi d’acqua.
Col crescere la situazione non migliora. La pianura è sempre asciutta, anche se nei dintorni qualcuno si azzarda a cavalcare onde mediterranee, quei cinque minuti all’anno in cui ci sono. Ma l’idea resta. Si surroga con skateboard e, più avanti, snowboard. Si vanno anche a vedere le tappe dei mondiali di persona. In Francia, sulla costa meridionale verso l’Atlantico. La California d’Europa, la definiva un articolo di rivista che ne parlava. E queste visite meritano tutta un’altra storia, magari più avanti.
In ogni caso si realizza in quei momenti che il grosso della vita di un surfista viene speso nuotando verso il largo, stesi sulla tavola, o centrifugati verso il fondo, con la tavola appesa ad una caviglia. Comunque sempre in acqua.
Il bambino cresciuto nella pianura padana non ha mai sviluppato l’acquaticità necessaria per uscire vincitore da un turbine di essenza dell’oceano. Forse neanche può aspirare ad un pareggio. China quindi il capo, vinto senza poter combattere una battaglia che, per avere risultati, dovrebbe essere quasi quotidiana. Impensabile dal basso della pianura e delle esperienze natatorie pregresse. Vabbè, lo snowboard era comunque divertente. In più, secondario, ma decisivo, un portatore di lenti a contatto vuole sempre tenere la testa fuor d’acqua, e quindi la rinuncia diventa completa.
Nel 2020 arriva però il Grande Esperimento Casalingo. Complice una perniciosa pandemia si sta a casa per qualche mese. Le lenti a contatto non si mettono e la vista migliora, o meglio, migliora la capacità di andare in giro senza usarle.
Improvvisamente l’idea di mettere, volontariamente o meno, la testa sott’acqua non è più oltraggiosa. E il bambino si ricorda del SUP (Stand Up Paddleboard), quel surf che ricorda i longboard, che poi erano i surf originali, in cui il surfista sta in piedi e avanza con l’aiuto di una lunga pagaia. Cessa la necessità delle onde, le cadute in acqua non sono il grosso dell’attività, e si può praticare anche nei laghi, la sua forma d’acqua preferita. Visitata di frequente nei tempi recenti. Adesso internet c’è, ci si trova di tutto, compresi istruttori locali, o quanto meno vicini. Forse non funzionerà ma almeno il tentativo s’ha da fare.
Wow, il mare di Caorle sembra calmo, ma le minuscole increspature della superficie, combinate con la rigidità del principiante assoluto, catapultano il novizio fuori del mezzo in ben più di un’occasione nella prima lezione. Lo stress più grande? La preoccupazione di perdere la pagaia, che fa dimenticare il fatto che per la prima volta, in 54 anni e rotti, si cade in acqua dove non si tocca (la piscina, si, vasche su vasche, ma puoi mettere giù i piedi quando vuoi, e comunque il muro è sempre a portata).
In ogni caso si sopravvive e dopo 48 ore ci si ripresenta. La pagaiata è più decisa e, nonostante le increspature siano percettibilmente più alte, si cade meno, si riesce in un’occasione anche a correggere un potenziale sbilanciamento. La maestra dice che la tecnica della pagaiata è buona, basta fare pratica nello stare in acqua.
Il bambino che non è mai stato surfista non vede l’ora, a questo punto, di provare ancora. Che bella la sensazione di non avere imparato tutto quello che si poteva imparare.
E anche quella di poter praticare quello che si sarebbe sempre voluto imparare.
Quelle cose che un bambino vede alla tv, in un mondo senza internet, e resta con gli occhioni spalancati sul precipizio di un mondo di sogni, fatto di eleganti discese liquide e scivolate dentro tubi infiniti.
Dal precipizio non si cade, visto che il bambino vive spiaccicato nel mezzo della pianura padana, dove le onde non si vedono nemmeno con il cannocchiale e, al mare, le nonne, iperprotettive, concedono 15 minuti cronometrati di giochi d’acqua.
Col crescere la situazione non migliora. La pianura è sempre asciutta, anche se nei dintorni qualcuno si azzarda a cavalcare onde mediterranee, quei cinque minuti all’anno in cui ci sono. Ma l’idea resta. Si surroga con skateboard e, più avanti, snowboard. Si vanno anche a vedere le tappe dei mondiali di persona. In Francia, sulla costa meridionale verso l’Atlantico. La California d’Europa, la definiva un articolo di rivista che ne parlava. E queste visite meritano tutta un’altra storia, magari più avanti.
In ogni caso si realizza in quei momenti che il grosso della vita di un surfista viene speso nuotando verso il largo, stesi sulla tavola, o centrifugati verso il fondo, con la tavola appesa ad una caviglia. Comunque sempre in acqua.
Il bambino cresciuto nella pianura padana non ha mai sviluppato l’acquaticità necessaria per uscire vincitore da un turbine di essenza dell’oceano. Forse neanche può aspirare ad un pareggio. China quindi il capo, vinto senza poter combattere una battaglia che, per avere risultati, dovrebbe essere quasi quotidiana. Impensabile dal basso della pianura e delle esperienze natatorie pregresse. Vabbè, lo snowboard era comunque divertente. In più, secondario, ma decisivo, un portatore di lenti a contatto vuole sempre tenere la testa fuor d’acqua, e quindi la rinuncia diventa completa.
Nel 2020 arriva però il Grande Esperimento Casalingo. Complice una perniciosa pandemia si sta a casa per qualche mese. Le lenti a contatto non si mettono e la vista migliora, o meglio, migliora la capacità di andare in giro senza usarle.
Improvvisamente l’idea di mettere, volontariamente o meno, la testa sott’acqua non è più oltraggiosa. E il bambino si ricorda del SUP (Stand Up Paddleboard), quel surf che ricorda i longboard, che poi erano i surf originali, in cui il surfista sta in piedi e avanza con l’aiuto di una lunga pagaia. Cessa la necessità delle onde, le cadute in acqua non sono il grosso dell’attività, e si può praticare anche nei laghi, la sua forma d’acqua preferita. Visitata di frequente nei tempi recenti. Adesso internet c’è, ci si trova di tutto, compresi istruttori locali, o quanto meno vicini. Forse non funzionerà ma almeno il tentativo s’ha da fare.
Wow, il mare di Caorle sembra calmo, ma le minuscole increspature della superficie, combinate con la rigidità del principiante assoluto, catapultano il novizio fuori del mezzo in ben più di un’occasione nella prima lezione. Lo stress più grande? La preoccupazione di perdere la pagaia, che fa dimenticare il fatto che per la prima volta, in 54 anni e rotti, si cade in acqua dove non si tocca (la piscina, si, vasche su vasche, ma puoi mettere giù i piedi quando vuoi, e comunque il muro è sempre a portata).
In ogni caso si sopravvive e dopo 48 ore ci si ripresenta. La pagaiata è più decisa e, nonostante le increspature siano percettibilmente più alte, si cade meno, si riesce in un’occasione anche a correggere un potenziale sbilanciamento. La maestra dice che la tecnica della pagaiata è buona, basta fare pratica nello stare in acqua.
Il bambino che non è mai stato surfista non vede l’ora, a questo punto, di provare ancora. Che bella la sensazione di non avere imparato tutto quello che si poteva imparare.
E anche quella di poter praticare quello che si sarebbe sempre voluto imparare.